Se un marziano sbarcasse in Calabria farebbe molta fatica a capire il concetto di ‘ndrangheta”. Pacificamente considerata la più potente organizzazione criminale operante sul territorio italico, sulla ‘ndrangheta aleggia un alone di mistero. I media la descrivono generalmente come un’associazione, feroce e organizzata, capace di mischiare sapientemente modernità e tradizione. Tutti gli esperti in materia convengono nel sottolineare come la forza decisiva della predetta organizzazione stia tanto nella capacità di controllo capillare del territorio, quanto nella facilità di incunearsi nei circuiti di potere ufficiali anche attraverso l’inquinamento del voto. Periodicamente la politica subisce la tentazione di affidarsi ad iniziative antindrangheta aventi perlopiù un significato simbolico, buono per tranquillizzare la parte meno attenta della pubblica opinione. Perché stilare protocolli per la legalità non costa nulla, non preoccupa i criminali ma fa guadagnare le prime pagine dei giornali. Se invece scavassimo il problema più in profondità ci accorgeremmo che la realtà è molto più complessa di quella che appare e che le risposte sul tema, pacificamente accettate, sono spesso in contraddizione tra loro. Bisogna mettersi d’accordo. Se diamo per assodato che in alcune aree geografiche della Calabria le cosche esercitano un controllo così asfissiante da non permettere l’esistenza di un’economia libera, allora non si capisce come territori, con tali equilibri interni, possano al contempo esprimere una classe politica lontana mille miglia da logiche criminali. La politica non è un mondo a parte, spesso è soltanto la proiezione visibile di potentati economici e lobby di pressione. E se in Calabria l’economia reale è davvero appannaggio della ‘ndrangheta, il tessuto economico esprimerà per inerzia una classe dirigente capace di assicurane gli interessi, più o meno leciti. Se invece le analisi sulla pervasività della criminalità calabrese dovessero risultare esagerate rispetto all’inesistente, allora questo discorso non avrebbe senso. E’ possibile governare parti di territorio dove le leve del potere reale sono tutte in mano a malfattori? Non credo. La mia impressione è che sia in atto un cambiamento di sistema. Le vecchie cosche, famiglie che si tramandano da decenni lo scettro del comando sui territori di competenze, stanno cambiando pelle. Le avanguardie della ‘ndrangheta mirano ad entrare nel circuito legale dell’economia. Per farlo si avvalgono dell’ausilio di professionisti, la cosiddetta zona grigia, che ne favoriscono l’ingresso nei templi del potere economico ufficiale. Quando i nipoti e i pronipoti dei vecchi boss delle origini avranno assunto il pieno comando dei poteri visibili la ‘ndrangheta non esisterà più, perché molto più banalmente la chiameremo e riconosceremo come “classe dirigente”. E magari, quel giorno, sfileremo dietro ad essa in qualche bel corteo di protesta contro la violenza mafiosa.
Francesco Maria Toscano
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