Eccone un altro. E’ ora il turno del già guardasigilli leghista Roberto Castelli di aprire il cassetto dei ricordi. Nottetempo Castelli si è ricordato di essere stato nel lontano 2003 destinatario di proposte di trattative provenienti da ambienti mafiosi. L’obiettivo della piovra, dice Castelli, era quello di depotenziare il regime carcerario conosciuto come 41 bis, in cambio i mafiosi promettevano una pubblica dissociazione. A parte il fatto di avere rifiutato la proposta, in perfetta solitudine e con il prezioso conforto di alcuni alti magistrati, Castelli non aggiunge altro. Verrebbe da dire “ di più nin zo’”, parafrasando Marfufello. Eppure Castelli potrebbe fornire qualche considerazione meno generica sul fatto raccontato con soli 8 anni di ritardo. Un’inezia temporale se comparata con i quasi vent’anni di meditazione sull’argomento che hanno preceduto le esternazioni su questioni analoghe di uomini di sicuro affidamento democratico come Luciano Violante o Claudio Martelli. Ad esempio Castelli potrebbe spiegare nel dettaglio come ha avuto inizio questa trattativa, chi gliene parlò, quali uomini si proposero come anelli di congiunzione e per ricavarne eventualmente che cosa. Chi, nel caso, lo incoraggiò sulla via di una soluzione concordata e via discorrendo. Le parole di Castelli intanto suggeriscono, ictu oculi, una chiave di lettura semplice. E cioè che la trattativa degli anni delle stragi, sulla quale stanno indagando i pm siciliani, non può essere recintata con certezza all’interno di un preciso periodo storico. La trattativa, se reale, è come l’universo: pare non avere inizio né fine. Un altro elemento, magari del tutto casuale e completamente scollegato dal contesto, aggiunge un tocco di suspance all’improvvisa e inaspettata rivelazione dell’ingegnere di Lecco. Nel dicembre scorso il bravo giornalista Gianluigi Nuzzi pubblicò un libro che ebbe una considerevole risonanza mediatica. Il libro, titolato “Metastasi”, raccoglie le testimonianze di Giuseppe Di Bella, pentito di una cosca di ‘ndrangheta operante nel nord d’Italia. Fra le tante cose che il pentito racconta, risalta la rappresentazione di un uomo politico, genericamente individuato come Gamma, che avrebbe tenuto rapporti con il pericoloso boss Franco Coco Trovato al fine di ottenere vantaggi politico-elettorale. La descrizione del politico in oggetto fece indignare proprio Castelli, il quale riconobbe nel testo allusioni, neppure tanto velate, alla sua persona. Coincidenze, probabilmente. In ogni caso si respira un clima di tensione, da fine impero. In un mare di ambiguità diventa sempre più complicato distinguere le verità, dalle mezze verità o dalle bugie ben raccontate che sembrano verità. Ci fosse ancora pilato saprebbe come orientarsi: “La verità? Cos’è la verità?”. Già, bella domanda.