Pierpaolo Pulvirenti è morto. E’ morto lavorando, intossicato dai veleni della raffineria Saras di proprietà dei Moratti. Altri due operai sono in gravissime condizioni. La Saras non è nuova a vicende del genere. Già nel 2009, tre operai di Villa San Pietro, Luigi Solinas, 26 anni, Daniele Melis di 30 e Bruno Muntoni di 56, persero la vita mentre pulivano una cisterna. In Italia le morti sul lavoro sono una tristissima realtà e mentre si consumano giovani vite di ragazzi e uomini ai quali la vita raramente ha regalato un sorriso, il Paese affoga sotto una coltre di pavido e colpevole silenzio. Perché nessuno in un Paese di ruffiani come l’Italia trova il coraggio di puntare il dito contro un colosso come quello rappresentato dall’impero economico dei Moratti. I morti non sono tutti uguali e l’omertà è oramai considerata, da nord a sud, un elemento costitutivo dell’impianto culturale del nostro sventurato Paese. Probabilmente anche stavolta, basteranno i visi visibilmente corrucciati dei padroni pronti a condividere, magari in favore di telecamera, il dolore straziante di parenti e amici per mettere una pietra sul caso. Fino al prossimo morto. I grandi mezzi di comunicazione di massa si guarderanno bene dall’accendere i riflettori su questa ennesima vergogna italiana e le povere vittime, quelle rimaste su questo lembo di terra, riceveranno un compenso in denaro a riprova della magnanimità dei “signori”. Tutto perfetto. Film già visto. Un bel libro inchiesta di Giorgio Meletti, però,“Nel paese dei Moratti”, edito da Chiarelettere, in tempi non sospetti poneva già quesiti che , alla prova dei fatti, avrebbero meritato ben altra attenzione. Ma la Saras, evidentemente, e non è la Thyssenkrupp. Il profitto prima di tutto e ad ogni costo genera lutti e sparge miseria per le ultime catene di una società dolente, ma al contempo permette ai vertici apicali di una società profondamente immorale di vivere di lussi sfrenati. L’abisso delle nostre coscienze ci paralizza e ci impedisce di tentare di porre rimedio a situazioni di intollerabile oscenità. Mi vengono in mente i tanti indignati in servizio permanente che periodicamente affollano le piazze per ricordare agli italiani e al mondo che “la legge è uguale per tutti”. Sarebbe bello vederli sfilare anche in occasioni come queste. Tante vite deboli e schiacciate, per una volta unite per difendere la dignità del lavoro e il rispetto per la vita, a dispetto delle facili strumentalizzazioni politiche. Forse non servirebbero neppure le proteste. La morte del debole e del povero, si sa, è quasi sempre figlia esclusiva del destino cinico e baro. Meglio lasciare che i morti seppelliscano i loro morti e non farsi troppo domande. E’ già ora di voltare pagina. Domenica al “Tardini” si gioca Parma-Inter.
Francesco Maria Toscano