In questi giorni divampa l’infinito scontro tra politica e giustizia. Vuoi per le imminenti elezioni amministrative, vuoi per il Rubygate, vuoi perché si avvicinano le giornate calde, l’aria è diventata improvvisamente fintamente irrespirabile. Le solite stanche, trite analisi e considerazioni campeggiano su tutti i principali quotidiani del belpaese. Sempre la stessa solfa. I berluscones gridano contro le toghe rosse che a loro volta gridano contro le scempio istituzionale. Basta, non se ne può più. Qualche sceneggiatore faccia recitare agli attori in sala qualche nuovo personaggio. Per quanto ben congegnato, questo film va in onda da quasi vent’anni e, per dirla con Totò, “ogni limite ha una pazienza”. Provo a spiegarmi meglio. Non credo esista in realtà nessuno scontro politica-magistratura, né tantomeno ritengo che le polemiche tra il centrodestra e il centrosinistra centrino un fico secco con quello che sta succedendo. Esiste solo il potere in senso lato. Il potere non ha più colore politico e non è appannaggio esclusivo di nessuna categoria in particolare, né di matrice politica, né giudiziaria e tantomeno economico-informativa. Il potere si tiene tutto insieme e gli uomini che detengono una qualsiasi forma di potere, si muovono in maniera coordinata con il fine di mantenere, ognuno a casa sua, la sua fetta di predominio e privilegio. In Italia tutto si tiene e le parti in commedia sono sempre intercambiabili. A turno i potenti possono fare i magistrati, i politici, o gli opinion leader. La cosa importante è che una ristretta cerchia di persone controlli la società attraverso il posizionamento dei suoi uomini chiave nei punti decisivi della vita democratica. Destra, sinistra, politica, informazione, sono tutti termini che non significano nulla. Questo piccolo nucleo di oligarchi, interiorizzata la teoria di Tomasi di Lampedusa, periodicamente cambia affinché tutto resti uguale. Questo non significa che i nuovi nobili siano necessariamente tutti amici. Significa soltanto che, a dispetto delle schermaglie tattiche e contingenti, tutti tutelano un equilibrio di sistema che li protegge. L’Italia è fatta così. Dal dopoguerra al 1992 abbiamo avuto sempre gli stessi padroni. E quando il sistema è andato in tilt per ragioni che sarebbe tropo lungo spiegare in poche righe, gli italiani scoprirono stupefatti un mondo trasversale e di potere reale dove non si riconoscevano differenze di metodo tra i diversi partiti né tra i diversi poteri di controllo preposti al controllo del potere politico e governativo. Nel tritacarne di mani pulite finirono tutti. Sotto le macerie non finirono soltanto i politici, ma anche imprenditori e uomini delle istituzioni. Le prime grandi inchieste di mafia, sulla scorta delle rivelazioni dei pentiti, svelarono un mondo dove mafia e antimafia si confondevano. L’arresto di alcuni magistrati e uomini delle forze dell’ordine che, secondo pentiti come Gaspare Mutolo erano “a disposizione” di Cosa nostra, rese evidente il perché le mafie erano così forti e arroganti. Così come le scorie della caduta della prima repubblica colpirono a cascata anche uomini decisivi di altri mondi che non erano di stretta pertinenza politica, anche la caduta del sistema berlusconicentrico provocherà scossoni che non si limiteranno a disarcionare gli alti papaveri pidiellini.Chiuso il teatro, scompariranno tute le maschere in commedia, a prescindere dal ruolo recitato. E le maschere più astute, consapevoli di tale verità, quando vedono Berlusconi in chiara difficoltà, pur trovandosi in campo avverso, trovano il coraggio di giustificarlo, suscitando la stupore ingenuo di ignari sognatori e militanti. Tranquilli, non difendono Berlusconi, difendono se stessi.