E’ inutile girarci intorno, queste elezioni amministrative rappresentano un vero terremoto e rendono di innegabile evidenza la gravissima e sistemica crisi che il sistema di potere italiano sta attraversando. Una crisi, se vogliamo, più drammatica e pericolosa di quella che nel lontano 1992 archiviò senza rimpianti la partitocrazia corrotta della prima repubblica. Mentre allora i vecchi partiti venivano infatti sepolti da una operazione a tenaglia del rodato circo mediatico-giudiziario, sotto lo sguardo benevolo, ammirato ed interessato di alcune forze partitiche, come il Msi e il Pci, alla disperata ricerca di nuovi margini di manovra, oggi, invece, la crisi investe tutti, compresi gli “artefici della rivoluzione legalitaria” di allora. Il grande successo della banda Grillo, costruito su una piattaforma politica che sarebbe superficiale definire soltanto “antipolitica”, è lo specchio di un malessere profondo, radicale e consapevole, che non solo coinvolge la parte più dinamica e ricca del Paese (il movimento 5 stelle va benissimo in Emilia, bene in Piemonte e Lombardia, malino al sud), ma che individua nella “stampa di regime”, prima che nei partiti ridotti a “comitati di affari”, il suo principale nemico. Nonostante le migliori teste d’uovo d’Italia sprechino difatti frequentemente fiumi di inchiostro per spiegare al popolo votante come le vittorie si costruiscano soltanto conquistando un non meglio specificato “voto moderato”, che generalmente nell’immaginario dei riflessivi editorialisti italici assume le sembianze di Casini o Fini, il voto di ieri si è preso la briga di smontare definitivamente tale scolastica lettura. Con buona pace di Cazzullo. Il terzo Polo in larga parte d’Italia non esiste proprio, e dove marginalmente esiste è condannato, dalle divisioni interne, all’immobilismo e all’irrilevanza politica. Ma se il successo di Grillo rappresenta innegabilmente la drammatica crisi di credibilità che il sistema informativo attraversa, l’eccellente risultato ottenuto da de Magistris a Napoli, dove l’ex pm ha surclassato al primo turno il candidato del Pd Morcone, insinua specularmente gli stessi dubbi nei confronti della magistratura, delle sue espressioni sindacali e del suo sistema di autogoverno. De Magistris conferma quindi di godere di una vastissima credibilità personale (già alle Europee, d’altronde, era risultato campione di preferenze), a dispetto delle pesantissime censure e sanzioni mossegli a suo tempo dal Csm, nel silenzio del sindacato delle toghe, a causa delle sue inchieste catanzaresi. Nell’immaginario collettivo insomma, a dispetto delle censure, delle critiche e delle punizioni, è passata a torto o a ragione l’idea che de Magistris, da pm, sia rimasto vittima di una violenta cospirazione volta a tutelare l’incolumità dei tanti potenti che erano finiti al centro delle sue inchieste. La politica perciò, oggi come ai tempi di mani pulite, vive certamente una crisi drammatica. Ma a differenza di allora, di sicuro, è in buona compagnia.