L’ineffabile Antonio Fazio, già pio governatore della banca d’Italia, si è beccato un’altra condanna, stavolta per il caso Unipol-Bnl. Come ricorderete nell’estate del 2005, quella dei furbetti, il gotha affaristico-trasversale che ammorba l’Italia era in pieno fermento nel tentativo di ridisegnare le geografia economica e finanziaria del Belpaese. Un manipolo di avventurieri, spalleggiati dalla peggiore politica, tentava spericolate scalate ai vertici di alcuni importanti istituti di credito, mentre Fazio, da arbitro, si riscopriva giocatore in campo violando qualsiasi regola deontologica prima che penale. Intorno alla bramosia per il denaro, si formava una sorta di “bicamerale del male” che non risparmiava quasi nessuna delle forze politiche nostrane palesemente ridotte a comitati di affari. A tal proposito il Gip di Milano Forleo, lavorando su quelle inchieste, definì i sinistrorsi Fassino, D’Alema e Latorre nonché i berlusconiani Grillo (Luigi), Comincioli e Cicu “consapevoli complici di un disegno criminale”. L’Udc di Casini, genero del condannato contropattista Caltagirone, si ergeva a nobile e “disinteressata” difesa del governatore ciociaro, mentre la Lega di Bossi barattava la sua iniziale posizione di coraggioso contrasto al governatore con un aiutino per risollevare le sorti della disastrosa banca del nord, la “Credieuronord” appunto. Uno scenario semplicemente desolante. Oggi arriva la giustizia, lenta ma inesorabile, a riscrivere pagine importanti su quelle buie vicende, già in parte egregiamente trattate sul piano letterario dal bravo giornalista Gianni Barbacetto nel suo libro “Compagni che Sbagliano” (Il Saggiatore). In un Paese come l’Italia dove il garantismo vale solo per i potenti mentre i poveracci vengono in genere preventivamente mostrificati a reti unificate, la sentenza della prima sezione penale, presieduta dal giudice Giovanna Ichino, induce a ritenere che forse, ancora, non tutto è perduto.