Una democrazia declinante come la nostra si riconosce anche dalla qualità del suo sistema informativo. Ogni sistema dittatoriale che si rispetti impedisce la libera circolazione delle idee sul presupposto, corretto, che la libertà è contagiosa e che la diffusione del pensiero critico finisce necessariamente con il mettere in pericolo delle forme di potere che si reggono su false suggestioni. Da noi, a differenza che in Iran o in Siria, il sistema è un tantino più articolato ma non per questo meno pericoloso o dannoso. L’impossibilità di veicolare idee profondamente collimanti nei contenuti essenziali rispetto alla vulgata predominante, attraverso i principali canali di comunicazione di massa, dipende anche ma non solo dal mastodontico conflitto di interessi in capo a Berlusconi. Conflitto peraltro difeso e legittimato negli anni, per ragioni meschine e intuibili, dai principali leader di partiti di “sinistra”, collaborazionisti di fatto ma alternativi nelle apparenze. Il congegno principale per assicurare un capillare controllo dell’informazione funzionale al sostentamento di una classe politica complessivamente incapace e non di rado corrotta, è rappresentato dall’istituzionalizzazione di una figura ad hoc, quella del “giornalista ad personam”. Tralasciando per ovvie ragioni la situazione di giornali direttamente controllati dalla politica attraverso parenti e prestanome, è più interessante considerare come lo schemino del giornalista “ad personam” funzioni all’interno dei giornali più prestigiosi. Prendiamo, come esempio paradigmatico, il caso del Corriere della Sera, principale testata nazionale. Le firme più prestigiose di via Solferino tendono a recitare e ripetere all’infinito un copione già scritto, che di volta in volta si adegua sulle necessità dettate dalla contingenza. E quindi, in sintesi, Verderami canterà periodicamente in tutte le salse le lodi “del tessitore Letta” (lo fa anche oggi), Maria Teresa Meli renderà spesso edotta la cittadinanza circa le sottili intuizioni di Massimo D’Alema. Paola Di Caro guarderà con frequenza la palla di cristallo per capire dove si butta Casini e il suo metafisico Terzo Polo, mentre il quirinalista Marzio Breda dipingerà quotidianamente con fare martellante un Presidente della Repubblica perennemente angosciato per le sorti del nostro Paese che traballa nonostante i suoi arguti e forti moniti. Nei piani alti invece, il direttore De Bortoli (quando non indaffarato nel discutere con Bisignani), il vice Battista e gli editorialisti pensosi alla Panebianco e Ernesto galli della Loggia alzeranno una volta per uno il sopracciglio per invitare (gli altri, si capisce) alla “responsabilità”, “alla necessità di fare sacrifici”, “a mettere in pratica le cose che l’Europa ci chiede” e altre banalità discorrendo. Fuori dal coro le analisi apprezzabili e spesso originali di Massimo Mucchetti e le belle inchieste dell’inviata Sarzanini. Che non avesse ragione Longanesi nel sostenere che “In Italia non è la libertà che manca quanto gli uomini liberi?”.