Ormai è chiaro: la Calabria non troverà mai al suo interno le forza per risollevarsi. La situazione è troppo compromessa. Troppo fragile il tessuto sociale, troppo morbida e conformista la stampa, troppi i conflitti di interesse, grande la rassegnazione e continua la pervasività del fenomeno mafioso. E’ difficile far capire per davvero a chi non ha mai respirato luoghi dominati dalle cosche cosa significhi provare a ritagliarsi uno spazio di libertà dentro una realtà così soffocante e opprimente. Ma, sembrerà strano, più della ‘ndrangheta in senso stretto, quella militare e sanguinaria, fa paura il contorno e la nebbia che occultandola la difende. Chi non vuole affrontare fino in fondo il problema è solito rifugiarsi dietro frasi di circostanza, che fanno però molto politically correct, tipo “una minoranza di criminali non va confusa con la stragrande maggioranza di cittadini onesti”. E’ un modo sbagliato di concepire il problema. Il problema non è statistico ma sistemico. La domanda corretta da porsi non è quanti sono i mafiosi battezzati rispetto a chi non è stato “pungiuto” ma, piuttosto, è giusto chiedersi quanta influenza hanno i (pochi o tanti) mafiosi nel disegnare nel complesso gli equilibri che regolano la vita delle nostre comunità. Quanti sono i negozianti che pagano il pizzo? Quante sono le imprese che ricevono appalti pubblici pur essendo riconducibili a mondi grigi? Quanto è stretto il legame tra politica e cosche e, ancora peggio, tra cosche e magistratura? Quest’ultimo forse è l’aspetto più inquietante. Perché, in fondo, quello che l’inchiesta milanese della Boccassini ha scoperchiato, la società civile calabrese lo aveva già da tempo capito e metabolizzato. Si spiega anche così una certa riluttanza dei cittadini nell’affrontare coraggiosamente il dramma che li schiaccia. Forse solo un’inchiesta lombarda poteva colpire pezzi della magistratura calabrese. Perché in Calabria, a dispetto di morti, strani suicidi, ruberie, bombe opportunamente rinvenute anche se mai innescate, non succede mai nulla. E i consiglieri regionali, che pomposamente si fanno chiamare onorevoli, si sentono così tranquilli da scegliere all’interno del proprio staff gente di tutti i colori. Tanto vale il garantismo. E mentre in questo sfortunato lembo di terra l’opportunità va a braccetto con l’impunità, chi crede ancora nella giustizia, per capire qualcosa, deve leggere le carte di inchieste che partono dal nord. Se non fosse per la Dda di Torino, tanto per fare un esempio, nessuno saprebbe degli strani incontri al nord dell’europarlamentare Gino Trematerra, plenipotenziario di Casini in Calabria. Chi potrebbe guardarli da vicino, purtroppo, non li vede. Tutti presbiti.
Francesco Maria Toscano
Buona domenica.
Collegamenti fra politica e ‘ndrangheta? La ‘ndrangheta è un’ entità ma la politica cos’è? “La politica” non è un’ entità è un processo, secondo alcuni un ‘ arte e veniamo a scoprire che un arte si intreccia illecitamente con un ‘ entità. Come fa?
La voluta e ormai automatica indefinitezza terminologica rivela che oltre un certo livello nessuno ha interesse ad andare e questo, non altro, è il vero motivo per cui la Calabria non ha speranza.
“La politica” come la intendete tu e altri è fatta di missi dominici che agiscono come plenipotenziari di rappresentanti di poteri molto più in alto, molto più concreti di quello che può essere un “arte”, un “processo” o un “onorevole”.
Già sarebbe tutto più credibile semplicemente aggiungendo “imprenditoria”, “finanza” e qualcos altro “visibile e invisibile”, come diceva quel signore degli alti monti.
Perché io leggo il tuo blog dato che è spesso segnalato dal G.O.D., a sua volta reso celebre da Libero e dalla Zanzara, che nel proprio sito annuncia ormai da vari giorni di essere “nell’ imminenza” (una prolungata imminenza) di clamorosi annunci, rivelazioni e severissimi ammonimenti al fratello Monti che li ha delusi. Allora mi è venuto in mente, chissà perché, che tu oltre ai legami fra “politica e ‘ndrangheta” ci potresti parlare della Santa e del mondo dell’ invisibile di cui parlava il signor Sebastiano.
E’ solamente un’ altra battuta il cui significato è che identificare il vero potere con i suoi grands commis è un modo, volontario o involontario, di aiutarlo a nascondersi.