Ho appena finito di leggere l’ultima fatica di Giulio Tremonti, “Uscita di sicurezza”, edito da Rizzoli, e sono pervaso da sentimenti ambivalenti. Da un lato riconosco all’ex ministro dell’economia dei pessimi governi Berlusconi alcune interessanti intuizioni ermeneutiche sulla cause che hanno prodotto la crisi infinita che paralizza l’Europa e spaventa il mondo. Dall’altro, mi pare che il ragionamento di Tremonti risulti nel complesso non del tutto logico e consequenziale con le sue stesse premesse. Sotto il primo profilo, è corretto sottolineare come in un periodo storico nel quale le classi dirigenti, politiche ma non solo, facciano in genere fatica ad esprimersi in un italiano comprensibile, Tremonti si sforzi invece di indirizzare il dibattito pubblico intorno a questioni un tantino più serie delle tette di Ruby rubacuori o delle contorsioni politiciste dei tanti opinionisti che sprecano inchiostro per riempire giornali che somigliano alla Pravda di sovietica memoria. Dall’altro però non si può non notare come la forza del ragionamento del fiscalista originario di Sondrio, risulti notevolmente appannata alla luce delle recentissime responsabilità politiche assunte dallo stesso Tremonti nell’arco di un oramai lungo e pacificamente fallimentare ciclo politico. Tremonti, in sintesi, parla delle nefaste scelte di indirizzo politico dell’Italia e dell’Europa quasi fosse un passante, o uno appena tornato da un viaggio su Saturno lungo un ventennio, e non il dominus della politica economica nel lunghissimo periodo del berlusconismo al potere. In alcuni punti il libro sembra quasi palesare un caso di omonimia, perché nonostante l’analisi impietosa sulla qualità della classe governativa che esprimeva un ministro dell’Economia evidentemente compatibile con quelle nefaste politiche, non si scorge nessun cenno di onesta autocritica. Nel merito, Tremonti scrive alcune cose di buon senso come la necessità di istituire gli Eurobond, di rendere la Bce una vera banca centrale di ultima istanza e di porre un freno al dilagare di una finanza immorale che ha sottomesso la politica e depotenziato il concetto stesso di democrazia rappresentativa. Queste proposte condivisibili sono però incastonate all’interno di una strategia complessiva di indirizzo economico che sembra sostanzialmente in continuità con le fallimentari politiche iperliberiste che stanno affamando la terra. Tremonti insiste, senza peraltro neppure sforzarsi di spiegarne le ragioni, con il contrabbandare come indispensabili le politiche recessive fatte di precarietà, tagli al welfare e impoverimento dei salari. Nonostante sul finire del libro, nel complesso confusionario, Tremonti citi come esempio positivo di intervento pubblico nell’economia il New Deal di roosveltiana memoria, che è l’esatto contrario delle politiche oggi predominati producenti mostri come “il fiscal compact”. Insomma la sintesi che si ricava dalla lettura del libro è la seguente: abbiamo sbagliato tutto, quindi continuiamo così.
Francesco Maria Toscano
Ahahahahahahahahahahahahahahhaah
Fevvava!!