Pierluigi Bersani ha colpito ancora. Più spietato di una mantide, l’altalenante segretario piddino è riuscito a perdere pure con Rita Borsellino. Oramai è psicosi tra i candidati alle primarie del centrosinistra. Ad ogni latitudine, dalle Alpi al sole caldo della Sicilia, tutti i candidati sostenuti dalla segreteria Bersani perdono di sicuro. Una scia di sconfitte, da far impallidire quella del povero allenatore interista Ranieri, sempre incassate dal segretario con l’aplomb un po’ naif di chi sembra comandare le truppe per caso. Nelle città più importanti d’Italia, per avere ottime possibilità di diventare primi cittadini, bisogna prima assicurarsi l’inimicizia dei vertici del Pd. Ne sanno qualcosa De Magistris, Pisapia, Doria e ora il palermitano Ferrandelli, assurti a gloria nazionale grazie ad una provvidenziale distanza di sicurezza dal principale partito italiano, oramai divenuto una specie di Re Mida al contrario capace di trasformare in latta anche i metalli preziosi che tocca. La cosa stupefacente è che Bersani riesce a sbagliare anche quando casualmente indovina la linea politica. Mentre in Puglia, a Napoli e a Milano, Bersani ha perso inseguendo l’illusione di intercettare un “centro” (che sarebbe rappresentato dal partitino di Casini che da decenni non si schioda dal 5% nonostante una notevole sovraesposizione mediatica del suo leader belloccio) esistente solo nelle fantasie dei nostri acuti politologi, a Palermo ha sbagliato candidato. In tutto il Paese avanzano le forze di sinistra. Si fa strada una richiesta di maggiore sicurezza sociale, proveniente da fette sempre più larghe di una comunità impaurita e improvvisamente risvegliatasi dal torpore, al fine di porre un freno ai guasti prodotti da un ventennio iperliberista con lo Stato nel ruolo di assente ingiustificato. L’alleanza a sinistra è l’unica possibile per un Pd altrimenti destinato a perdersi definitivamente nelle sabbie mobili di un inciucio politicista permanente. Quindi la sconfitta della Borsellino a Palermo non va letta come la sconfessione di una linea politica che, con buona pace di Veltroni, è invece l’unica possibile. La sconfitta è il risultato della debolezza personale del candidato proposto, di fronte alla freschezza di uno sfidante giovane e deciso come Ferrandelli. Dico subito che considero il giudice Paolo Borsellino una delle figure più alte che l’Italia del novecento abbia conosciuto. Ma intravedo una prosecuzione delle battaglie ideali e civili del giudice Paolo, molto di più nelle posizioni del fratello Salvatore Borsellino, vicino ai movimenti, che non nelle analisi della sorella Rita vicina al Pd. Mentre Salvatore Borsellino da anni punta il dito da solo e con coraggio contro una cortina fumogena fatta di retorica interessata che impedisce l’emergere della verità rispetto alla morte del fratello, Rita ha scelto una linea diversa. Qualche anno fa rimasi impressionato nell’ascoltare una relazione di Salvatore Borsellino che, in compagnia di Gioacchino Genchi e Sonia Alfano, durante un incontro nel napoletano, chiamava in causa l’allora vicepresidente del Csm Mancino, in quota Pd, in relazione al suo operato da ministro dell’Interno al tempo della strage di via D’Amelio. Mi avvicinai all’ingegnere Salvatore Borsellino per capire come fosse possibile conciliare la sua analisi sul Pd, e su alcuni suoi massimi rappresentanti, con la militanza della sorella nello stesso partito. Mi disse chiaramente che le due posizioni erano totalmente inconciliabili. Quando Genchi spiegò di essere finito nel tritacarne mediatico e politico per avere reincontrato, durante la sua attività di consulente informatico a Catanzaro, gli stessi personaggi dei tempi delle stragi siciliane nessuno, tranne Salvatore Borsellino e pochi altri, lo difese. Per rendere onore alla memoria del giudice Paolo non serve eleggere la sorella sindaco di Palermo. Ma occorre riaprire le indagini mettendo alla sbarra le cointeressenze istituzionali e politiche che crearono le condizioni scatenanti l’agguato al magistrato, per poi capire fino in fondo chi, perché e per conto di chi indirizzò i processi intorno alle parole di un pentito improbabile come Vincenzo Scarantino.
Siamo destinati ad essere su piani opposti. Adesso è la sinistra ad essere stata sconfitta, ne devi prendere atto. Se la sinistra voleva Rita la doveva votare, e invece il centro ha preso più voti. Pure di Pietro ha le sue responsabilità, lui, in modo maldestro ha chiesto un voto su Bersani.
Ti ho letto su l’Unità.
Non amo le primarie, reputo pericoloso che il candidato di uno schieramento sia alla mercé di tutti, che possa essere condizionato dal voto anche degli avversari politici, tuttavia se fossi un elettore di Palermo avrei votato senza se e senza ma per Rita Borsellino. Detto questo però, quello di ieri è un voto che ci interroga. A Palermo c’era una opzione politica chiara, da una parte l’incontro con il terzo polo, una scelta moderata, dall’altra uno schieramento nettamente più di sinistra. Ha vinto il centro e la moderazione. Credo che se questo voto fosse stato fatto prima delle ultime vicende NoTAV, Rita, che di quel movimento non è antagonista, e che da quel movimento è amata, avrebbe avuto qualche vantaggio in più. Le istanze più avanzate sono anche quelle più intransigenti, ma il radicalismo finisce spesso, soprattutto in periodi di incertezza, per spostare le fasce medie verso destra, credo che questa considerazione, per capire il voto di ieri, debba essere fatta.
Caro Teobaldo, ben tornato.
Capisco il tuo punto di vista ma confermo il mio ragionamento. Ferrandelli veniva dall’Idv ed era appoggiato chiaramente anche da personaggi come Sonia Alfano, spesso dipinti come l’estrema sinistra dell’Idv. La Alfano, tra l’altro, è da sempre una grandissima amica di Salvatore Borsellino. Ciao
Caro moralista,
il Pd ha raggiunto livelli grotteschi. Tutto ciò che tocca si tramuta in sconfitta. I casi di candidati battezzati da Bersani e poi travolti dalle primarie ormai non si contano più. Perché? Per me la ragione è sottesa in due punti che si intrecciano in maniera incontrovertibile. Da un lato il Pd si dimostra partito a misura esclusiva dei suoi tesserati. Non buca il video, ossia i confini del suo elenco soci. Piace il giusto, manca di “quid” per vincere. L’altro punto – e le primarie sono la più classica delle cartine tornasole – il Pd non è più l’isola maggiore dell’arcipelago di centrosinistra. Lo è sulla carta e lo è solo se si legge la politica con i modelli tradizionali di partito.
Aggiungo una seconda opinione personale. Non mi piacciono le primarie. E’ il modo con il quale le classi dirigenti abdicano al loro dovere di scegliere e decidere. Con o senza “porcellum”. Le primarie sono una regola se istituzionalizzate e condivise da tutti. Parte integrante di una legge elettorale.
Con stima e affetto, Mattia
Concordo in pieno con l’analisi di Sansavini.
Ricambio la stima e l’affetto