Il governo Monti marcia come un carro armato nella direzione dello smantellamento definitivo della classi deboli e proletarie, rispettando i precisi impegni assunti nei confronti della Troika al momento del suo insediamento. La trattativa con le parti sociali, meno seria di quella inseguita con la mafia negli anni delle stragi, è di fatto una pantomima buona per impegnare gli ingenui. Tutti i provvedimenti governativi costruiti e pensati in coerenza con l’obiettivo politico di riferimento, finalizzato all’asservimento di molti nei confronti di pochi, vedranno giocoforza la luce con buona pace delle giravolte dei vari leader sindacali Camusso, Bonanni e Angeletti, più o meno consapevoli di giocare una partita con il risultato già deciso a tavolino, come quelle aggiustate dal capitano atalantino Doni in combutta con il clan degli zingari. I provvedimenti che invece rischiano di intaccare interessi di gruppi o lobby che appartengono per censo all’olimpo dei privilegiati, verranno branditi per rassicurare la pubblica opinione, per mandare messaggi obliqui o per indurre i più orgogliosi a miti consigli, ma si areneranno sapientemente nei labirinti delle commissioni parlamentari. Le banche possono dormire sonni tranquilli e il presidente dell’Abi Mussari può perciò ritirare serenamente le sue dimissioni. Lo stesso dicasi per gli interessi del redivivo Berlusconi che, dalla Rai alla giustizia, verranno garantiti con non meno enfasi di quella profusa dai governi dell’Ulivo prodiano, quando D’Alema si preoccupava di salvaguardare Mediaset, “grande azienda culturale” del nostro Paese delle banane. I colpi ai pensionati (già affondati) e ai lavoratori (in via di perfezionamento), invece, fanno parte della ragione sociale di questo governo, esecutore materiale di sobri stermini di massa progettati da mandanti sottili e ancora (per poco) nell’ombra. I dogmi del liberismo cavalcante imperano ancora, incuranti di qualsiasi tragedia sociale. Le solite nefaste ricette fatte di tagli al welfare, ai diritti dei lavoratori, privatizzazioni interessate e selvagge, prosperano sul falso assunto dell’inesistenza di alternative credibili. Invece il cambiamento è possibile non solo in astratto. Su questo blog mi sono preoccupato di approfondire la teoria economica della MMT che offre un approdo differente e realistico rispetto alle linee di indirizzo oggi prevalenti. Il dibattito sulla MMT non è entrato nei grandi mezzi di comunicazione di massa e questo non sorprende ma, semmai, conferma la pericolosità e quindi la bontà delle proposte economiche che arrivano dagli Stati Uniti d’America. L’ordine costituito ha bellamente ignorato qualsiasi dibattito che mettesse lontanamente in dubbio le sicumere delle oligarchie trionfanti, mentre alcuni economisti di ispirazione marxista hanno confutato le basi della proposta neokeynesiana su alcuni blog di nicchia. Sempre meglio del silenzio. In ogni caso mi riprometto di riportare nei prossime giorni le critiche, scelte secondo la mia personalissima sensibilità di non esperto ai lavori, apparentemente più incisive rispetto alla teoria sviluppata da Wray e Kelton. In particolare segnalo un lungo post del prof. Alberto Bagnai (http://goofynomics.blogspot.it/2012/03/mmt-no-grazie-per-ora.html) titolato “MMT? No grazie (per ora)”, nel quale l’economista sembra però tradire principalmente un senso di fastidio perlopiù rivolto verso la figura di Barnard-Caronte, che non verso le linee guide veicolate dai professori dell’Università del Kansas in merito all’efficacia della Modern Money Theory. In chiusura, a proposito di modelli di riferimento validi per sbugiardare i fautori della austerità ad ogni costo, è utile approfondire la storia dell’Argentina dell’ultimo decennio che, risollevatasi dal default 2001, cresce a ritmi molto sostenuti grazie alla riscoperta del primato della democrazia sull’arroganza della finanza e del mercatismo ideologico. Utile a tal fine uno studio sul Paese sudamericano pubblicato da Carmen the Sister sul blog vocidallestero.blogspot.com che mi riprometto di approfondire nel pezzo di domani.
Francesco Maria Toscano
Da che mondo è mondo, un potere non si abbatte, ma neppure si ridimensiona o si controlla, con le riforme. Anzi, le riforme sono sempre nell’interesse di quel potere e del suo accrescimento a danno di chi il potere non ce l’ha.