Come sanno i lettori più assidui del Moralista, non mi trovo affatto sorpreso dall’irrigidimento del governo Monti rispetto ad alcune scelte scellerate sulla riforma del lavoro che stanno provocando fortissime tensioni sociali mettendo in crisi il Pd. Fin dall’inizio ho avuto chiarissima la percezione che l’improvvisa entrata in scena di Monti, sotto la guida di Napolitano, fosse propedeutica ad una rapida, efficace, sapiente e inesorabile disarticolazione delle residue e deboli resistenze di tutte quelle forze, in primis politiche e sindacali, ancora non totalmente asservite ai diktat delle élite dominanti, veicolati da improvvisati portavoce mascherati da rappresentanti legittimi di farsesche istituzioni comunitarie. La gioia per l’accantonamento di Berlusconi, quindi, ha lasciato subito perciò correttamente spazio al timore che Monti riuscisse dove Berlusconi aveva fallito. I fatti mi stanno tristemente dando ragione. La ferocia della riforma sul lavoro voluta da Monti è assoluta, e denota un evidente e mal dissimulato desiderio di punire severamente classi e gruppi sociali avvertiti come inferiori e indegni di essere ascoltati su un piano paritario. Monti è, in sintesi, il braccio armato di una vendetta storica delle vecchie aristocrazie che non hanno mai digerito il trionfo di concetti come uguaglianza. L’entusiasmo crescente di Berlusconi per l’attuale esecutivo “tecnico” è più che giustificato. I temi cari al Pdl, Rai e giustizia, viaggiano a rilento, mentre Monti affonda il bisturi nella carne viva del Pd umiliando, impoverendo e sottomettendo pensionati e lavoratori. Il consenso bipartisan rispetto al governo di Mario Monti è coerente con il disegno postdemocratico preparato nei decenni scorsi. Al fine di approfondire meglio la natura di questa evoluzione in senso oligarchico e antidemocratico, invito alla lettura dell’analisi di Michele Nobile per il sito sinsitrainrete.info (http://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/1967-michele-nobile-il-governo-monti-e-il-consenso-bipartitico-nella-postdemocrazia-italiana.html). Più in generale, gli economisti e i politologi di estrazione marxista, che si richiamano più o meno fedelmente alla tradizione del comunismo politico, sono spesso lucidi nel mettere a fuoco alcune storture sistemiche prodotte dai dogmi del neoliberismo selvaggio, ma convincono oggettivamente molto di meno nella misura in cui dall’analisi neutra passano alla proposta concreta. Il fallimento del comunismo inteso come fenomeno politico che ha caratterizzato il novecento è un dato acclarato e recente. Per cui uno sterile travaso di alcune pregevoli letture interpretative all’interno di un contenitore politicamente definitivamente inservibile rappresenta, a ben vedere, un ulteriore elemento di fatto stabilizzante nei confronti del potere oppressivo e illiberale oggi dominante. Di fronte alla gravità della crisi, è importante concentrare gli sforzi al fine di fare affluire tutte le migliori e vive correnti di pensiero alternative alla moderna barbarie liberista all’interno di un contenitore spendibile, nuovo, che guarda al futuro libero dalle scorie del passato, e quindi capace di distinguere con nettezza le cose che vanno conservate da quelle da accantonare senza puerili e nostalgici rimpianti. All’interno di questa cornice, ad esempio, si gioca la partita del candidato della sinistra francese Melanchon, dato in costante ascesa nei sondaggi dai principali istituti demoscopici transalpini. Mi riservo di approfondire, nel pezzo di domani, la figura intrigante di questo candidato alle presidenziali che ha riacceso la passione, da tempo spenta, dei progressisti radicali francesi. Per tornare all’Italia, nutro poche speranze circa la capacità del partito di Bersani di opporre una efficace resistenza rispetto agli intendimenti del governo di abrogare l’Art 18. Se anche dovesse il Pd riuscire a strappare qualche concessione in Parlamento, utile per salvare la faccia, il dato non sarebbe comunque molto significativo. Le forze che sposano un’idea di società antitetica a quella oggi prevalente, incarnata dalla mediocre figura di Monti, continuano a giocare di rimessa spedendo, alla meglio, la palla in corner ma non superando mai il centrocampo. Fin quando avremo una classe dirigente, dominante a sinistra, sostanzialmente subalterna rispetto ai capisaldi del pensiero politico turbocapitalista, risulterà impossibile aspettarsi qualcosa di diverso. E’ pur vero che non è affatto semplice, alle condizioni date, provare ad organizzare una alternativa politica al mostro consociativo che ci governa. I segnali sono chiarissimi. Da quando imperano le larghe intese, i problemi giudiziari di Berlusconi e dei suoi più stretti sodali sono quasi svaniti, le inchieste sul tesoriere Udc Naro sono scomparse dalle pagine dei giornali, così come è divenuto demodé occuparsi di Penati. Anche Rutelli, strenuo difensore di Monti, nonostante la loquacità di Lusi, ha probabilmente poco da temere. Quelli che invece hanno assunto un atteggiamento di ostilità nei confronti delle meraviglie del governo tecnico, ricevono ogni giorni segnali sempre più espliciti volti a raffreddarne l’entusiamso. La Lega è alle prese con il caso Boni mentre tutti quelli, da Pisapia a Emiliano, da Vendola a De Magistris, che hanno paventato l’ipotesi di costruire una lista civica nazionale pronta per le prossime politiche hanno cominciato improvvisamente a riempire le pagine di cronaca giudiziaria dei principali giornali. Sia chiaro che non sto prendendo nessuna posizione circa il merito delle accuse mosse ai singoli esponenti politici coinvolti nelle nuove inchieste. Mi limito soltanto a ripetere nella mente un vecchio detto cinese che spiega che “la giustizia è come una lampada. Fa luce a seconda di dove viene posizionata”.
Francesco Maria Toscano
Cosa impedisce al PD di sgambettare il governo, revocandogli il proprio appoggio? La mia lettura è che ad impedirlo è il desiderio d’appoggiarlo. Dunque, il PD è corresponsabile al 100% e senza sconti dell’azione dell’attuale governo.