Esiste e cresce nel Paese reale la consapevolezza circa il totale fallimento di quelle politiche liberiste, fatte di tagli al welfare e pareggi di bilancio, che stanno mettendo in discussione persino le fondamenta democratiche della civiltà occidentale. Questa massa critica, consapevole e determinata, costituisce certamente un’avanguardia culturale, non sparuta né settaria, orfana però di qualsiasi riferimento politico-partitico accettabile e in grado di recepirne le legittime istanze. Mentre la sopravvenuta debolezza di un modello turbocapitalista, al guinzaglio della peggiore finanza, costringe le principali forze politiche italiane a gettare la maschera collaborando alla luce del sole, sotto la sapiente guida del fratello maggiore Mario Monti, per difendere un sistema tribale che ne continui a  soddisfare le mediocri ambizioni, c’è chi correttamente comincia a porsi il problema impellente e non rinviabile di come dare sbocco politico e organizzativo ad una realtà di pensiero che per adesso vive soltanto una dimensione accademica e sentimentale. Questa necessità è sicuramente avvertita da quel gruppo di intellettuali che, da Paul Ginsborg a Luciano Gallino, ha elaborato un manifesto per un soggetto politico nuovo (clicca per leggere), capace concettualmente di ribaltare in profondità quel nefasto paradigma liberista e neoschiavista che tiene in ostaggio anche partiti formalmente progressisti come il Pd di Bersani, malato cronico di  montismo. Una iniziativa interessante che merita di essere approfondita. E proprio per capirne di più che ho intervistato, in esclusiva per i lettori del Moralista, uno dei fondatori e protagonisti di questo coraggioso progetto che si rivolge potenzialmente a quella vastissima platea di elettori desiderosi di cambiamenti sistemici e non formali. Ugo Mattei, giurista, editorialista de Il Manifesto, ha tra l’altro recentemente pubblicato per Laterza editore il libro “Beni Comuni, un manifesto”.

    Professor Mattei, perché è necessario un nuovo soggetto politico?

    Perché bisogna invertire la catena di comando dando rappresentanza alla base.  La battaglia referendaria in difesa di beni fondamentali come l’acqua testimonia l’esistenza di una enorme massa critica che ha una forte sensibilità pubblica, capace di sviluppare un pensiero critico dell’esistente nonostante le mistificazioni veicolate di continuo da un blocco mediatico sostanzialmente monolitico.

    A chi vi rivolgete?

    E’ evidente una certa affinità con il pensiero politico che potrebbe, semplificando, definirsi di sinistra. Ma noi non abbiamo nessuna intenzione di creare l’ennesimo partitino che vive di rendita e si barcamena senza costrutto nell’agone parlamentare. La nostra ambizione è quella di costruire un blocco autenticamente democratico che contrasti la deriva autoritaria rappresentata dall’esperienza Monti. In questa ottica parliamo a tutti quelli che non si rassegnano ad essere commissariati da un tecnocrazia al servizio della grande speculazione internazionale.

    In cosa consiste la vostra diversità?

    Preliminarmente dalla chiarezza della proposta che ci permette di rifuggire dai sofismi di alcune forze politiche di pseudo sinistra che da troppo tempo, non solo in Italia, si sono rassegnate a recitare il ruolo degli utili idioti funzionali ad ammorbidire strumentalmente le durezze di un modello di destra che è tragicamente diventato terreno condiviso.

    Non è semplice smontare un sistema che si difende a testuggine. Non rischiate di risultare velleitari?

    Noi vogliamo un altro modello di sviluppo e capiamo le ragioni dei No Tav. Il momento è propizio perché l’ideologia liberista è al capolinea, ed è costretta a mostrare il volto feroce per ottenere con la forza ciò che non ottiene più con il ragionamento.

    Ma non sarebbe più semplice, e forse possibile, provare a cambiare dall’interno i partiti progressisti già esistenti?

    No. Il neoliberismo di estrema destra, personificato da figure politiche come Reagan e la Thatcher, contagia leader “di sinistra” come D’Alema e Schroder. Per non parlare della cosiddetta terza via di Clinton e Blair. I nostri partiti sono prevalentemente antidemocratici e verticistici. Nella misura in cui, i vertici, come avviene,  sono compromessi con i grandi poteri economici e finanziari, è impossibile che diventino strumento di cambiamento sistemico, nonostante le istanze sempre più forti provenienti dalla base.

    Duri e Puri

    Vorrei essere chiaro su un punto. Noi non vogliamo rinchiuderci in una torre d’avorio finendo con il parlarci addosso. Noi dialogheremo con tutti, senza annacquare però le nostre convinzioni e consapevolezze. Vendola, De Magistris e la Fiom sono nostri interlocutori naturali. Il modello di partito personale e padronale non ci appartiene e, oltretutto, ha oramai fatto il suo tempo.

    Abbiamo capito cosa non volete. Ma cosa proponete in alternativa al turbocapitalismo morente. Nostalgie marxiste?

    Il marxismo è presente nella cultura di riferimento di molti di noi anche se non di tutti. In ogni caso è indispensabile riattualizzare le analisi di Marx limitandosi a conservarne gli aspetti positivi presenti, ad esempio, nella corrente di pensiero riferibile a Gramsci. Il nostro obiettivo non è quello di abbattere il capitalismo ma di renderlo funzionale ad un nuovo umanesimo.

    Prossimi passi?

    Il 28 Aprile a Firenze presenteremo la prima convention del nostro movimento. In quella occasione sceglieremo il nome. Per adesso circolano le ipotesi di Democrazia Continua e Beni Comuni. Ci prepariamo inoltre a ripartire con le battaglie referendarie.

    Come vi rapporterete con i movimenti cosiddetti “antipolitici”, tipo quello rappresentato dal movimento 5 stelle di Beppe Grillo?

    I movimenti antisistema sono in realtà quelli che più  lo puntellano. La demonizzazione di tutte le attività pubbliche, e fra queste la politica è certamente la più importante, è uno strumento formidabile nelle mani delle oligarchie tecnocratiche per consolidare il modello neoliberale finalizzato a privatizzare tutto. In questo Grillo e Di Pietro sono identici. Noi non vogliamo eliminare la politica, ne vogliamo una diversa e migliore. Non è una differenza da poco.

    Ma se anche gli eroi anticasta finiscono, forse inconsapevolmente, per fare il gioco della grande finanza che soffoca la democrazia, che margini esistono per incidere realmente nei processi decisionali futuri. Torniamo al rischio, già paventato, di finire nelle sabbie mobili del velleitarismo?

    E’ velleitario al contrario non vedere la realtà. Esiste un 50% di cittadini italiani che, come testimoniano tutte le indagini demoscopiche, è alla ricerca di nuove soluzioni. Il silenzio mediatico non ci spaventa perché conserviamo la lezione proveniente dall’ultimo entusiasmate test referendario. Una sfida stravinta nonostante il comportamento ostile, per usare un eufemismo, di tutto il circuito informativo. Se necessario faremo politica fisicamente, porta per porta.

    Un Porta a Porta senza Vespa presumo. A parte le battute. Il quadro internazionale è in movimento. Non crede che dalle imminenti elezioni francesi possa venire un messaggio di cambiamento interpretato magari dalla possibile vittoria del socialista Hollande?

    Ne dubito. Hollande è certamente meglio di Sarkozy, ma per essere meglio dell’attuale presidente francese non ci vuole poi molto. E’ un uomo che, pur con qualche distinguo, proseguirà sul solco del neoliberismo selvaggio limitandosi ad umanizzare le solite politiche di estrema destra.

    Attraverso quali misure intendete invece neutralizzare l’attuale paradigma turbocapitalista?

    L’uscita dall’Europa non è nel novero della cose sensate e rappresenta una risposta alla crisi emotiva e non razionale. Noi vogliamo un’altra Europa. Crediamo nell’ Europa dei popoli e non in quella dei mercati. Dobbiamo democratizzare l’Europa sottomettendo la speculazione finanziaria all’interesse pubblico. La nostra proposta si articola fondamentalmente intorno a tre priorità: sovranità alimentare, energetica e monetaria.

    A proposito di sovranità monetaria. Dagli Stati Uniti spira forte un vento neokeynesiano che ha trovato compimento nella formulazione della Modern Money Theory. Impressioni?

    E’ una buona notizia. La MMT è sicuramente uno strumento  utilissimo nel contrasto al modello neoliberista.

    Ci lasciamo con una speranza?

    Quella di ricostruire a breve una nuova coscienza pubblica collettiva che rinnovi la politica riscoprendo al contempo la bellezza e la nobiltà dell’impegno, e riannodando i fili spezzati tra cultura e impegno pubblico. Senza formazione e senza conoscenza i partiti finiscono con l’essere, nel migliore dei casi, contenitori burocratici dediti agli affari. Ma un lungo e involuto ciclo storico sta fortunatamente per chiudersi. Oggi più che mai esistono le condizioni per ripristinare una legalità democratica ripetutamente violata e vilipesa. L’analisi, da sola, non basta più. Questo è il momento dell’impegno.

    Francesco Maria Toscano

     

    Categorie: Politica

    3 Commenti

    1. alessandro scrive:

      un movimento che nasce dalla base non può che ispirare fiducia, anche se non comprendo se il movimento ha una naturale simpatia per tutte le istanze che provendono dalla base, indipendentemente da quali finalità le stesse instanze perseguono. Mi riferisco in particolare ai NO-TAV, che non capisco se il nuovo soggetto denuncia la mancata condivisione del progetto con la popolazione locale o non condivide l’opportunità dell’opera pubblica. Stessa considerazione vale per la FIOM, come per Occupy wall street (oggi c’è anche occupiamo piazza affari), i forconi, gli indignados e tutti i movimenti, organizzazioni, forme di associazionismo ed espressioni della società civile che nascono dalla base.
      Inoltre se il movimento, rifiutando gli schemi neoliberisti, non vuole essere velleitario e antipolitico, rifiutando l’impostazione di Grillo e Di Pietro e di tutti i tromboni antisistema, e ritiene le proposte di Dalema, Schroder o Hollande solo una facciata umanizzata delle solite politiche di destra, non comprendo come possa ritenere Vendola e De Magistris i propri interlocutori naturali. Non capisco perchè dovrebbe piacere De Magistris, ma non Di Pietro, oppure Vendola, ma non Dalema.
      Comprendo che, come noto, il caudillismo dipietrista non rende l’IDV un partito democratico al suo interno e che De Magistris è una spina nel fianco dell’IDV, ma è pur sempre nell’IDV. Prendo atto che il nuovo soggetto politico non ritiene di dover cambiare “le cose” dall’interno con l’attuale classe politica, salvo poi avere degli interlocutori naturali al suo interno. Se Vendola è un (potenziale?) interlocutore del movimento perchè con linguaggio forbito e poetico denuncia il turbocapitalismo ed il fallimento delle politiche neoliberiste, per quanto mi riguarda è molto più efficace Tremonti nel suo ultimo lavoro “uscita di sicurezza”. Tanto per dire che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.. a proposito di velleità. L’apertura verso la MMT e a concetti come sovranità monetara stimolano molto il mio interesse, anche perchè un movimento senza una proposta concreta di un modello di sviluppo economico rischia di essere velleitario, come l’attuale proposta politica della sinistra italiana.
      La mia vuole essere una critica costruttiva, limitatamente alle risposte di questa intervista, non al movimento in generale (che si può contattare nel suo sito), che seguirò con interesse nelle iniziative future.
      Grazie per l’articolo.

    2. ampul scrive:

      È già una notizia..
      Il problema è che oggi ci sono tanti (troppi!) che parlano di rivoluzione alla base, di nuova cultura della politica ecc.
      Io dico una cosa: ma se grillo è un ottimo catalizzatore di consensi che provengono dal basso, e la sua idea si scaglia contro un certo tipo di politica, perché non cercare di fondere le varie istanze reali (non solo urlate, e sovvertite nei fatti!!!) cercando di coinvolgere più soggetti?
      Le cose sono due: o grillo è anch’esso espressione di una certa élite di informazione, finanza, politica ecc., oppure è spinto anch’esso da un profondo senso di inadeguatezza nei confronti del sistema. Nel primo caso è da scartare, quindi alla stregua di un Casini qualsiasi. Nel secondo caso andrebbe solo calibrato, coinvolto.
      Delle due l’una.

      Voi cosa credete?
      Ciao a tutti.

    3. Paolo Barbieri scrive:

      Per avere la forza indispensabile a portare avanti il progetto non puo essere sufficiente rivolgersi alla cittadinanza già orientata a sinistra sia per la sua minoranza rispetto alla intera società, sia per la raffinatezza delle teorie non proprio alla portata immediata di tutti.
      Ma il momento è proprizio per cercare e ottenere un consenso maggioritario rivolgendosi a tutto quel 95% della cittadinanza che dichiara di non aver più alcuna fiducia nell’offerta politica attuale. Consenso ottenibile semplicemente offrendo un’azione politica immediata che abbia una connotazione chiara ed evidente nel senso desiderato e comunque obbligato dalle circostanze. E cioè un’azione anticasta es. riduzione / azzeramento privilegi, monocameralismo per ridurre parlamentari e drasticamente le spese della poltica (che la doppia lettura non ha mai garantito niente oltre tempi decisionali infiniti), stipendi come media europea, sedute 5 gg settimanali, 4 in campagna elettorale, ecc. ed un’azione per le riforme più attese es. legge elettorale, giustizia, fiscale, pari opportunità di genere ecc.. Azione politica da portare avanti non con la negazione referendaria, ma con l’affermazione propositiva dell’art.71 della Carta, sostenuta dalla “sovrana volontà popolare”.

    Commenta a ampul


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      Francesco Maria Toscano, nato a Gioia Tauro il 28/05/1979 è giornalista pubblicista e avvocato. Ha scritto per Luigi Pellegrini Editore il saggio storico politico "Capolinea". Ha collaborato con la "Gazzetta del Sud" ed è opinionista politico per la trasmissione televisiva "Perfidia" in onda su Telespazio Calabria.

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