La politica vive di suggestioni. La ripetizione ossessiva e aprioristica di alcuni concetti favorisce la creazione di un sentire diffuso spesso completamente slegato da qualsiasi elemento empiricamente valido e riconoscibile. Tutti ripetono come pappagalli, per esempio, che grazie a Monti l’Italia ha acquisito peso e prestigio internazionale. Bene. Da cosa si ricava questa sicumera? Quali scelte di indirizzo politico in Europa sono state ad esempio ultimamente assunte sulla base di una presa di posizione italiana trainata dal prestigioso Monti? Boh, mistero. In compenso, dall’India alla Nigeria, la nostra diplomazia da quando ci sono i tecnici al potere continua a collezionare figuracce. Quelli che si riempiono la bocca vantando un nuovo protagonismo italico nel mondo, vogliono in realtà dire un’altra cosa. Questa folta categoria di laudatores a pagamento si bea, tuffandosi nel buio della piccineria che li contraddistingue, di un risultato molto meno entusiasmante e attinente in via esclusiva al concetto minimo di presentabilità. Se prima, con Berlusconi premier, i leader europei e mondiali non solo consideravano poco le richieste italiane, ma si davano pure di gomito dispensandoci sorrisini beffardi, ora, con l’arrivo di Monti, gli stessi leader si limitano più sobriamente ad ignorarci senza umiliarci in maniera sfacciata. Con o senza Monti restiamo comunque periferia dell’impero. Per cogliere in profondità questa amara verità, è utile volgere ancora una volta lo sguardo alle elezioni francesi. Gli oligarchi terroristi che affamano l’Europa a colpi di rigore e austerità sono in subbuglio. Hollande continua a ripetere in tutte le salse che, una volta eletto, non ratificherà il cosiddetto fiscal compact. Per quanto i giornali servi del sistema provino a consolarsi dipingendo Hollande alla stregua di un Berlusconi qualunque che spara promesse elettoralistiche da tradire poi alla prova dei fatti, la preoccupazione degli euroterroristi è palpabile. Il fiscal compact rappresenta infatti nelle intenzioni di chi lo ha pensato, preparato e imposto agli stati subalterni e periferici dell’Unione, uno strumento indispensabile per proseguire rapidamente sulla strada della cinesizzazione dei popoli europei. Il fiscal compact è recentemente entrato nella Costituzione italiana, grazie ad un voto plebiscitario di entrambi i rami del nostro Parlamento. Il Pd di Bersani, che tanto gioisce per il successo di Hollande, ha votato compatto in favore di quelle norme indicate dal leader socialista francese come inique e da ripensare. Con quale faccia Bersani e Fassina fanno gli ultrà di Monti in Italia e i tifosi della gauche in Francia non è dato saperlo. La verità è che i nostri leader politici di cartapesta, non avendo il coraggio di difendere idee che non hanno, e puntando in maniera miserabile solo a restare a galla, si barcamenano nell’attesa di capire quale posizione politica dovesse infine prevalere per aderirvi entusiasticamente a giochi fatti. Si tengono cioè furbescamente tutte le porte aperte e, sull’esempio del peggior Veltroni, chiedono rigore ma anche crescita. Che equivale a dire che bisogna ubriacarsi rimanendo però astemi (sul punto consiglio una brillante intervista di Vittorio Zinconi all’economista Jean Paul Fitoussi pubblicata oggi su “Sette”, inserto del Corriere della Sera). Prima che senza etica, la nostra classe politica è certamente priva di coraggio. Ed è bene che i cittadini comprendano in fretta come in politica i pusillanimi risultino alla lunga più dannosi persino dei ladri.
Francesco Maria Toscano
“sul punto consiglio una brillante intervista di Vittorio Zucconi all’economista Jean Paul Fitoussi pubblicata oggi su “Sette”, inserto del Corriere della Sera”
Forse Vittorio Zincone?
Sì Bruno, mi riferivo a Zincone. Grazie della segnalazione
…ma io vedo semmai “Zinconi” e non “Zucconi” nell’articolo…
Mettiamo i puntini sulle “e”… (Zucconi, tuttologo denoantri, è ben altra cosa!!)
Veniamo all’articolo: devi ammettere, moralista, che è solo grazie al bocconiano che oggi abbiamo santificato il concetto di trasformismo e servilismo, fino ad oggi solo diciamo così “velato”.
“Do ut des, questa specie di politica…”. Caro principe Totò, non avevi ancora visto niente!!!
So che può sembrare una pignoleria senza senso, ma invito a riflettere sull’uso disinvolto e fuorviante che si fa dell’espressione “grazie a”. Ad esempio, dall’uso di “grazie a” in «il fiscal compact è recentemente entrato nella Costituzione italiana, grazie ad un voto plebiscitario di entrambi i rami del nostro Parlamento» si ricava implicitamente l’idea che il Fiscal Compact sia qualcosa di positivo, da salutare con favore. Dovendo sottolineare un’idea di negatività, più opportunamente legato al contesto sarebbe stato “per colpa di”. Volendo mantenere un profilo neutro, avrei usato “per via di”. Volendo dare un taglio asetticamente scientifico alla frase avrei usato “a causa di” (rapporto causa/effetto).
Ripeto, potrà sembrare una vuota pignoleria, ma ritengo che il linguaggio sia un’arma potente per plasmare il sentire comune, e i poteri di comunicazione più “sgamati” usano quel “grazie a” in modo apparentemente casuale ma in realtà molto subdolo. Mi spiacerebbe che quell’uso entrasse nel novero delle espressioni comuni, creando ambiguità e impoverendo di fatto ulteriormente la precisione della nostra povera lingua già abbondantemente assassinata da mille adattamenti, semplificazioni, intrusioni.
Eh no caro Ugo, credo proprio che la tua non sia vuota pignoleria…
E il sistema (dis)informativo lo sa benissimo!
Mi piacerebbe stimolare il moralista in proposito…