Mario Monti ammette candidamente di avere favorito con le sue politiche economiche l’aggravarsi della crisi economica che attanaglia l’Italia. Aggiunge, bontà sua, che però l’Italia nel 2013 ricomincerà a crescere. Come sia possibile conciliare interventi legislativi concretamente finalizzati a destrutturare il tessuto economico italiano, con la fiabesca promessa di una prossima impetuosa crescita, solo il premier lo sa. A questo punto si può dire tutto. Esistono due livelli di discussione politica che viaggiano su binari paralleli che non si toccano. Da un lato, la crisi finanziaria dei debiti sovrani invoglia il nostro circuito informativo ad inseguire ossessivamente le oscillazioni dello spread, eccitandosi per un momentaneo calo o deprimendosi per una inaspettata impennata. Dall’altro esiste un Paese reale, fatto di imprenditori e lavoratori in carne ed ossa, impoverito, disperato e incapace di intravedere un futuro dignitoso costruito attraverso il lavoro, l’applicazione, l’ingegno e la fatica. Gli operai dell’Alcoa difendono coraggiosamente il loro diritto ad una esistenza dignitosa, protestando di fronte ai palazzi del potere italiano, sempre più insensibili e distanti. Va dato atto a Stefano Fassina, giovane responsabile economico del partito di Bersani, di avere compiuto un gesto politicamente significativo scendendo in piazza per manifestare solidarietà agli operai , attirandosi prevedibili improperi da parte di una piazza comprensibilmente sfiduciata e disillusa. Gli altri, i pezzi grossi dell’italico potere, preferiscono invece argomentare i loro sterili vaniloqui nelle sedi chic di Cernobbio, dove il gotha bancario e imprenditoriale di un’ Italia risvegliatasi tragicamente feudale discetta di “risanamento”, “credibilità” e “rigore”, nonché di futuribili scenari politici in grado di garantire continuità rispetto alle politiche attuate dal prestigioso Monti. Il fastidio delle élite verso la democrazia è sempre più palese e arrogante. Il compito della buona politica è quello di servire l’interesse generale, favorendo le condizioni per una crescita armoniosa e pacifica. Le misure “impopolari ma necessarie” non esistono in natura. Si tratta di un malefico espediente che tende a suggestionare i cittadini, colpevolizzandoli, al fine di operare un ridisegno in senso oligarchico della nostra decadente società. Le buone politiche non possono mai essere “impopolari”. Se sono contro il popolo, semplicemente non sono buone politiche. In democrazia, né i mercati, né i tecnici, né le élite dovrebbero avere mai precedenza rispetto alle legittime aspettative di benessere sociale di un popolo intero. Ma forse non ci siamo del tutto accorti che, distratti dall’andamento delle borse, ci hanno già rubato la democrazia e la civiltà.
Francesco Maria Toscano
11/09/2012