Nel pezzo scritto giorni fa, riguardante la totale inutilità di leggere i roboanti “programmi” preparati dai partiti in occasione di ogni tornata elettorale, era rimasta in sospeso la questione “primarie” (del centrosinistra). Se la lettura dei diversi “programmi” risulta quasi sempre stucchevole (ricordate le quasi 300 pagine del famoso programma di Prodi?), l’enfasi da primarie è totalmente folle. Le primarie italiane, patetico scimmiottamento di quelle statunitensi, sublimano l’assurdo. Nei Paesi anglosassoni, specie in quelli caratterizzati da un impianto fortemente bipartitico, la primarie sono una cosa seria. La selezione interna tra i diversi candidati è serrata, la competizione è vera e la posta in gioco è alta. Chi vince, alla fine di un lungo, faticoso e accidentato cammino, si guadagna sul campo la candidatura alla Presidenza. Cioè: la competizione interna, in un Paese come gli Stati Uniti d’America, non persegue l’obiettivo misero di “rottamare” qualcuno o di definire i rapporti di forza interni. Le primarie, che non si chiamano così a caso, servono invece ad individuare il campione da presentare alle “secondarie”, in previsione cioè dell’obiettivo di conquistare la Casa Bianca. In un Paese che abbraccia il modello presidenziale, per giunta a vocazione non bipolare ma bipartitica, tutto questo non solo ha un senso, ma rappresenta per davvero un momento di democrazia e trasparenza. Le primarie del centrosinistra italiano (o del Pd, ancora non si è capito…) invece a cosa servono? Non ad individuare il futuro candidato premier, vigendo ancora in Italia il modello parlamentare, che assegna al Presidente della Repubblica il compito di affidare l’incarico di Primo ministro; non a definire un blocco di alleanze pre-elettorali, non essendo ancora chiaro se si andrà al voto con l’attuale sistemo conosciuto come “Porcellum”, che favorisce quindi la creazione di coalizioni prima del voto, in virtù della previsione di un smisurato premio di maggioranza, o se, al contrario, l’improvvisa approvazione di una legge “proporzionale pura” rinvierà il nodo delle alleanze alla chiusura della urne. Insomma, aldilà dei legittimi protagonismi di tutti i contendenti che, da Tabacci alla Puppato, fanno finta di candidarsi al Soglio pontificio nella speranza di raccattare un posto da sotto- Cardinale (si agitano cioè pur di strappare un seggio in parlamento), a cosa serve in concreto il grande teatrino delle primarie? A niente. O meglio, serve a regolare i conti di un partito allo sbando come il Pd che, anziché risolvere la conflittualità interna e generazionale attraverso un normale congresso di partito, confonde in continuazione gli strumenti con le finalità. L’unica conflittualità vera, sul terreno programmatico, palpabile all’interno di un partito come il Pd che pretende di rappresentare anche gli interessi del lavoratori, riguarderebbe in via principale il giudizio da dare all’esperienza di governo insieme a Monti. Il governo Monti ha attuato una politica di estrema destra, paragonabile sul terreno economico a quella del Tea Party americano; una politica antisociale e finalizzata a destrutturare e umiliare fascia sociali deboli da trasformare in “merce” sottopagata al servizio degli interessi oligarchici della speculazione globale. Bene. Questa autentica mattanza è possibile grazie al sostegno di Bersani. Sarebbe stato normale, di fronte a questo scenario, vedere organizzarsi una fronda interna al Pd, raccolta sotto le bandiere di un nuovo socialismo liberale, in grado di sfidare Bersani, sadico fiancheggiatore di un governo nemico del popolo. E invece, paradossalmente, a Bersani tocca respingere le insidie che provengono dalla sua destra; da uno cioè che,come Renzi, sposa la famosa agenda propugnata da quel Monti che governa grazie a Bersani. La linea politica tra i due contendenti è perciò simile e speculare (Bersani appoggia Monti in concreto e si permette piccoli distinguo in astratto. Renzi approva Monti in astratto sperando di farlo in futuro in concreto), e la competizione si gioca interamente su un piano improprio: quello generazionale. Per carità, il ricambio delle classi dirigenti è un tema serio, ma proprio perché serio non merita di essere strumentalmente spacciato per sfida tra diverse progettualità (che non ci sono). E poi, forse, varrebbe la pena tenere sempre a mente la massima di Fanfani che, saggiamente, sentenziava: “Se uno è bischero a settant’anni, lo era pure a venti”.
Francesco Maria Toscano
18/09/2012
Francesco: «[...] una politica [...] antisociale e finalizzata a destrutturare e umiliare fascia sociali deboli da trasformare in “merce” [...]»
Non avrei saputo dirlo meglio. Mercato (quello con la maiuscola, che ha natura di pseudo-divinità) e sacrifici umani. Qualcuno ricorda quando, non molti decenni fa, si parlava di “morte delle ideologie”? Sì, per trasformarle in nuove religioni, con tutto il disgustoso corollario di dogmi irrazionali che delle religioni sono tipici. Passando, ovviamente, per l’implementazione di gerarchie sacerdotali con potere assoluto garantito dalla divinità di turno. E il gregge dei fedeli idioti a belare sottomesso le risposte preconfezionate previste dalla liturgia.