Il presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, alla fine ce l’ha fatta: è riuscito a farsi sbattere al fresco (clicca per leggere). Impresa non semplice nell’Italia della seconda Repubblica dove, secondo prassi consolidata, quando un potente si imbatte in un pm “rompicoglioni”, scatta in automatico la telefonatina al Csm per risolvere la questione. A parte Nicola Mancino, che preferisce tentare direttamente con il centralino del Quirinale, molti altri alti papaveri tendono a comportarsi così. Oramai il Csm, anziché l’organo di autogoverno dei giudici, è diventato una specie di improprio ufficio reclami per uomini in vista provvisoriamente in difficoltà. Il Csm, che esprime l’udiccino Vietti come vicepresidente (successore di Nicola Mancino), ha negli ultimi tempi bacchettato quasi tutti quei magistrati che non si sono limitati ad occuparsi delle fotografie di Fabrizio Corona o di qualche ladro di polli. De Magistris, Forleo e Ingroia rappresentano forse i casi più noti. Ma non tutti ricordano che, pochi anni fa, la procura di Salerno venne sostanzialmente decapitata per avere osato indagare sui colleghi di Catanzaro che avevano ereditato lo scottante fascicolo processuale denominato “Why Not”. Quando da Palazzo dei Marescialli arrivano i primi inviti a “non spettacolarizzare le indagini”, a “rispettare il principio della competenza territoriale” (che è materia di pertinenza della corte di cassazione) e a “preservare al massimo la segretezza degli atti”, i pm procedenti devono ritenersi formalmente avvisati. Alla luce dei fatti è lecito sospettare che alcuni pubblici richiami possano in astratto essere frutto di suggerimenti privati. Con riferimento allo scandalo che ha colpito il Monte dei Paschi, poi, è utile segnalare una presa di posizione del presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti, che ha palesato perplessità circa la recente decisione del Consiglio Superiore della Magistratura di aprire una pratica sulla Procura di Trani che indaga sull’aspetto più delicato di tutta la faccenda: quello riguardante l’accertamento di eventuali responsabilità in capo a Consob e Bankitalia (clicca per leggere). Insomma, la tentazione dal sapore medievale di creare nei fatti un doppio circuito di giustizia comincia ad essere percepita con nettezza dalla pubblica opinione. Da un lato, comprensione, dialogo e garantismo per giudicare l’upper class; dall’altro, severità, celerità e rigore per punire poveracci, donnaioli, eccentrici e rubagalline. Se questo discorso vale in linea generale, è bene poi cercare di comprendere più in profondità il perché di alcuni scandali, stranamente concomitanti, riguardanti le ultime grandi aziende di Stato non ancora svendute a poco prezzo a qualche colosso della finanza nazionale o internazionale. Negli anni di Mani Pulite, le inchieste volte a liberare l’Italia dalla corruzione sistemica, furono nei fatti apripista di una vastissima operazione di svendita di beni pubblici gestita dall’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi (clicca per leggere). Le privatizzazioni del tempo, spacciate come indispensabili per abbattere il debito e rilanciare la crescita, non hanno apportato alcun beneficio al sistema Italia nel suo complesso ma, generalmente, hanno soltanto riempito il portafogli di alcuni colossi italiani ed esteri. La stessa favoletta (privatizzare per ripartire), con scarsa fantasia, viene oggi riproposta tale e quale. Capiremo presto se, in tono minore, è sorta nelle stanze del potere finanziario globale una tentazione simile a quella realizzata in Italia con geometrico e malefico successo all’inizio degli anni ’90. Le rassicurazioni dell’ex presidente dello Ior Gotti Tedeschi (“il sistema ti difenderà”) non si sono rivelate profetiche per il povero Orsi. E neppure il ventilato intervento del “grande burattinaio” Moncada ha salvato il Presidente di Finmeccanica dalla galera (clicca per leggere). Comunque, l’ipotetico smantellamento di questa grande industria italiana, potrebbe recare dispiacere ad un paio di mogli famose. Lisa Lowenstein, infatti, ex moglie dell’attuale ministro dell’Economia Grilli, avrebbe ricevuto consulenze da 100.000 mila euro l’anno da parte di Finmeccanica in quanto esperta di arte e oggettistica (clicca per leggere). Mentre la moglie dell’ex ministro dell’Interno Maroni, Emilia Macchi, che da molti anni lavora per una società controllata da Finmeccanica, è stata promossa nel ruolo di dirigente grazie ad una delibera del consiglio di amministrazione (clicca per leggere). Ma, voglio essere chiaro, non c’è nessuna malizia nel sottolineare queste circostanze, certamente frutto del merito, dell’impegno e dell’ingegno. Non ci accodiamo al coro di chi, come la precaria del Pd che ha recentemente accusato di nepotismo il noto giuslavorista Ichino, denuncia una presunta disparità di opportunità tra chi è nato bene e chi è figlio del popolo. Se il figlio di Monti lavora a Morgan Stanley, la figlia della Fornero ha due impieghi fissi e le mogli di ministri, presidenti e sottosegretari vengono assunte con facilità in posti di prestigio a dispetto della disoccupazione, significa che sono bravi. Mentre a voi, magari figli di un elettricista che ha risparmiato su tutto per farvi laureare a pieni voti, non resta che beccarvi il vostro bell’ impiego in uno squallido call center per 400 euro al mese. D’altronde, anche in questo caso, il più sincero era stato Silvio Berlusconi. Quando una precaria anni fa chiese all’ex premier cosa dovesse fare per migliorare la sua condizione sociale ed economica, il Cavaliere con nonchalance rispose :”Sposi un milionario, magari mio figlio” (clicca per leggere). Evidentemente non scherzava.
Francesco Maria Toscano
12/02/2013
[...] Il presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, alla fine ce l’ha fatta: è riuscito a farsi sbattere al fresco (clicca per leggere). Impresa non semplice nell’Italia della seconda Repubblica dove, secondo prassi consolidata, quando un potente si imbatte in un pm “rompicoglioni”, scatta in automatico la telefonatina al Csm per risolvere Source: il Moralista [...]
[...] aveva appena dato. Il pezzo del Moralista del 12/02/2013 si intitolava “Orsi in gabbia” (clicca per leggere), titolo copiato pari pari da Dagospia nell’edizione del giorno dopo (clicca per leggere). [...]