Un senso di orrore e di sgomento mi assale. Alcuni poliziotti, in segno di solidarietà con alcuni pregiudicati condannati in via definitiva per l’assassinio di un adolescente, Federico Aldrovandi, hanno deciso di manifestare sotto le finestre della madre del martire bambino. Caino continua a tormentare Abele. Questa povera madre, alla quale hanno massacrato un figlio nel fiore degli anni, è sola. Lo Stato democratico, nel nome e per conto del quale alcuni agenti hanno agito con barbarica ferocia, non vuole proteggerla. Ma il dolore per avere perduto un figlio in circostanze paradossali non è ancora abbastanza. Questa donna, oltre che passare il resto dei suoi giorni a contemplare il ricordo del bimbo perduto, devi subire continui sberleffi e soprusi. Ingiuriata e molestata da alcuni uomini in divisa che hanno perduto (o forse non hanno mai avuto) il rispetto per le istituzioni democratiche e non conoscono pudore e vergogna. Tutti i genitori d’Italia, perlomeno quelli per bene, devono oggi sentirsi padri e madri di Federico Aldrovandi. Devono piangere la morte di quel figlio con un senso di empatia intimo e familiare. Negli occhi pesti di quel ragazzo colpito a sangue, ognuno di noi deve trovare per attimo, tentando di raccogliere le forze per non farsi sopraffare dalla paura e dal tormento, gli occhi del proprio pargolo (clicca per leggere). Patrizia Moretti (madre di Federico) è costretta a scendere in piazza da sola, sfidando i tanti cerberi riuniti sventolando la foto del figlio morto e insanguinato. Una scena che riporta alla mente un’altra immagine allo stesso tempo tragica ed eroica, quella dello studente di Tienanmen che, a mani nude, sfidava coraggiosamente la furia del carro armato di regime. L’Italia di oggi è identica alla Cina di allora. La forza calpesta il diritto mentre il colpevole perseguita l’innocente. Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, riconosciuti colpevoli dell’omicidio di Federico Aldrovandi, sono stati condannati in Cassazione a pene che definire miti è un eufemismo. Ma per il Coisp, il sindacato di polizia guidato da Franco Maccari, chi porta una divisa opera evidentemente all’infuori del controllo di legalità. Solo così si spiega la screanzata manifestazione di solidarietà ai colleghi macchiatisi di cotanta infamia. Bisogna stare molto attenti. Perché quando un corpo armato manifesta simili pulsioni significa che lo Stato di diritto è potenzialmente in pericolo. Senza una risposta corale, durissima e forte da parte delle istituzioni democratiche, pronte a difendere energicamente la democrazia e la civiltà, presto o tardi l’Italia correrà il rischio di finire devastata da un Videla indigeno. Registro con soddisfazione le parole chiare e nette pronunciate da Ezio Mauro, direttore di Repubblica (clicca per ascoltare). Non posso invece condividere l’atteggiamento pilatesco del governo che, per bocca del ministro Cancellieri, si è limitato a stigmatizzare superficialmente l’accaduto senza promettere adeguati e consequenziali provvedimenti disciplinari (clicca per leggere). Dobbiamo tantissimo a degnissimi servitori dello Stato come Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinari, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, che, uccisi per mano mafiosa, hanno difeso la libertà di tutti noi anche a costo della vita. Ma proprio per onorare il ricordo di chi ha portato la divisa con altissimo senso del decoro e dell’onore non bisogna consentire a nessuno di insozzarla impunemente. Per cui la procura di Ferrara, per ristabilire il primato della legge e stroncare sul nascere possibili rigurgiti golpisti, agisca immediatamente nei confronti dei manifestanti a nome dell’art. 283 c.p. (attentato alla Costituzione). E’ l’unico modo per impedire che il Paese scivoli lentamente su un crinale molto pericoloso.
Francesco Maria Toscano
28/03/2013
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