L’Italia vista dall’estero, nonostante il premier Mario Monti sostenga di aver ridato credibilità internazionale al Belpaese, viene sempre giudicata con un misto di sospetto e ilarità. All’indomani delle elezioni, l’aspirante cancelliere tedesco socialdemocratico Peer Steinbrück definì Grillo e Berlusconi due “pagliacci”, espressione ripresa dal prestigioso settimanale inglese “Economist” in una copertina con la foto dei due politici sotto il titolo “Send in the clowns”. Quando, in casi come questi, l’orgoglio nazionale viene punto nel vivo la maggior parte delle persone tende a disapprovare le suddette prese di posizione, considerandole frutto di pregiudizi, di snobismo, se non di razzismo anti-italiano. Se ci fate caso la stessa cosa avviene quando si parla di mafia. Chi, come lo scrittore Roberto Saviano, denuncia le infiltrazioni mafiose, al sud come al nord, (e nei partiti) viene denigrato e tacciato di protagonismo. E persino avere la scorta diventa un intollerabile privilegio.…Nemmeno nella lotta contro le mafie riusciamo a trovare unità d’intenti. Se solo provassimo ad avere meno certezze e maggiore considerazione dell’opinione degli altri potremmo finalmente aprire gli occhi sulla realtà. Noi non vogliamo essere criticati da nessuno però l’Italia è in piena decadenza politica, strangolata dalla corruzione e dalla recessione, mentre le nostri sorti sono nelle mani di politici irresponsabili che pensano solo ai loro sporchi interessi oppure senza personalità al punto di affidarsi al consiglio della rete per qualsiasi decisione. A questo punto non bisogna sorprendersi se molti giovani scelgono o cullano il desiderio di andare all’estero. Viviamo in un paese dove le Università sono fabbriche di disoccupati con lauree e master che non servono a niente; dove, chi ha la fortuna di trovare un’occupazione, è soggetto alla frustrazione di contratti a termine rinnovabili trimestralmente, con misere retribuzioni, uno sfruttamento paragonabile al peggior schiavismo. Così, demoralizzati, molti non riescono a trovare il loro posto nella società, ingabbiati in città e paesi privi di opportunità. Forse non ve ne siete accorti, ma non sappiamo più ridere come una volta, quel riso genuino e liberatorio caratteristica dei popoli latini. I programmi televisivi pomeridiani e serali trattano ossessivamente vicende di cronaca nera, la mattina invece è dedicata alla cucina, regno di improbabili casalinghe-conduttrici disperate, mentre la politica da salotto imperversa a tutte le ore. Nelle scuole, nonostante i lodevoli sforzi di molti insegnanti, è difficile trovare dei veri “maestri” di vita. Chi vuole intraprendere una nuova attività rimane vittima della fiscalità e della burocrazia. E chi ha più voglia di ridere. Siccome gettare la spugna vuol dire darla vinta agli oppressori, meglio emigrare. Partire per andare in luoghi dove il nepotismo, la raccomandazione, l’essere figlio o amico di, non sono titoli di valore. Naturalmente non voglio fare un elogio del merito, parola tanto abusata quanto contraffatta, perché non bisogna mai lasciare indietro chi non ce la fa, ma tendergli la mano, aiutarlo. Andare lontano dunque per ripartire da zero, per far valere le proprie competenze o per dare sfogo alla propria creatività. Certo, non tutti fanno “fortuna” ma l’importante è reagire, avere una prospettiva di vita diversa, non accontentarsi di vivere alla giornata. In un sistema capitalistico spinto dal profitto trovare una propria dimensione umana dove si è in pace con se stessi e non si è schiavi del lavoro è già un atto rivoluzionario. Quando la stampa straniera ci critica o gli italiani nel mondo si vergognano di essere italiani per la disorganizzazione, il menefreghismo, la furbizia, perché dopo vent’anni Berlusconi è ancora in auge ed altri difetti tipicamente italici, vuol dire che, nonostante tutto, amano ancora l’Italia. Se non gli importasse nulla farebbero spallucce, e invece si arrabbiano, scrivono articoli, ammoniscono ed indicano strade diverse da percorrere. Mettiamoci in ascolto, rinsaldiamo i vincoli di solidarietà e soprattutto torniamo a ridere. Sono ancora le tre parole eterne della più grande rivoluzione avvenuta sul suolo europeo a chiamarci in causa: “libertà, uguaglianza, fratellanza”. Victor Hugo scriveva: “il passo collettivo del genere umano si chiama progresso”. Ed allora facciamolo insieme questo passo verso il domani.
Emanuele Bellato
16/04/2013
Bravo Emanuele…
Ottima disamina! Condivisa in tutto e per tutto!
Continua così!
Grazie mille!