Nei giorni scorsi “Il Moralista” riguardo la ri-elezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica e la formazione di un governo delle larghe intese preannunciava, con preoccupazione, un periodo foriero di nuove tensioni sociali dovute al perdurare della crisi e delle politiche di austerità e tagli indiscriminati. Un “film” già visto in Grecia. In particolare, questo blog, ha posto l’attenzione sulla possibile involuzione autoritaria nei confronti del crescente dissenso, citando la rivolta milanese di fine ottocento soffocata, nel sangue, dal piombo delle guardie regie. Rileggendo quella triste pagina della storia patria il paragone de “Il Moralista” non sembra poi così azzardato.
La tensione che esplose nel maggio 1898 dovuta all’improvviso aumento del prezzo del pane, provocato da un cattivo raccolto e dal contemporaneo blocco delle importazioni di cereali dagli Stati Uniti in seguito alla guerra di Cuba, fece scoppiare in tutta Italia una serie di manifestazioni popolari. Si trattava di manifestazioni in larga parte spontanee, che, nonostante una forte presenza operaia, richiamavano forme di protesta tipiche delle società preindustriali. La risposta del governo fu durissima, come se si dovesse affrontare un complotto rivoluzionario: prima massicci interventi delle forze di polizia, quindi proclamazione dello stato d’assedio, con conseguente passaggio di poteri alle autorità militari, a Milano, a Napoli e nell’intera Toscana. La repressione fu particolarmente violenta a Milano dove l’esercito sparò sulla folla inerme. Capi socialisti, radicali, repubblicani, ed anche esponenti del movimento cattolico intransigente, furono incarcerati. In quel 1898 si consumò uno dei più tristi capitoli della storia italiana: la rappresaglia, dell’esercito, guidata da Bava-Beccaris contro la sollevazione degli operai. Il bilancio, dichiarato dalle autorità, fu di ottanta morti e quattrocentocinquanta feriti. Ma secondo il cronista Colajanni, morti e feriti, furono almeno il doppio di quelli ammessi. L’esca alla repressione e alla sommossa milanese fu offerta – scrivono Massara e Schirinzi nel volume “Storia del Primo Maggio” (Longanesi, 1978) – da un manifesto socialista diffuso la mattina del venerdì 6 maggio 1898. Ecco una sintesi del testo:
“Cittadini! Lavoratori! La rivolta serpeggia nel paese. E’ la rivolta della fame e della disperazione. Il governo del re risponde – al solito – coll’eccidio scellerato dei supplicanti pane e lavoro; collo stato d’assedio […] I socialisti che da gran tempo – impassibili alle calunnie ed alle violenze – preannunciarono il disastro, ne additarono le cause e i rimedi – vi invitano un’altra volta a riflettere ed a ricordare. Da ben dieci anni, alla Camera e nel paese, essi denunziano nel dazio di confine sui cereali – regalo annuo di oltre 250 milioni ai latifondisti italiani -. la cagione precipua che mantiene nell’accidia l’agricoltura e la impotente a sfamare le popolazioni. […] Il paese manca di lavoro. Il lavoro gli manca soprattutto perché il militarismo – questa piovra della nazione – a servizio di alleanze cui il popolo è estraneo, di interessi dinastici, di privilegi odiosi ed anticivili – prosciuga tutte le fonti della produzione. I socialisti reclamarono mai sempre l’abolizione delle spese militari. Ma il governo del re – che, in onta al voto solenne dei pubblici comizi, neppure seppe liquidare la questione africana – aggravò ancora sulle spalle del popolo i bilanci della guerra e della marina; ed ora, per domare le rivolte che le esigenze del militarismo hanno provocate, richiama altri 40 mila uomini sotto le armi – nuova promessa di massacri, nuova fonte di miseria per l’Italia che ne paga le spese, nuovo fomite di malcontento e di odii inestinguibili fra classe e classe di cittadini. La crisi economica è fatta più irritante dal dispregio della giustizia, dell’impunità dei grandi misfatti, dall’impero delle camorre nello Stato e nei Comuni. I socialisti domandarono sempre a gran voce – unica difesa efficace a tanti mali – istruzione diffusa e libertà rispettata. Ma istruzione e libertà furono l’ultima cura del governo del re. Esso ha fatta la polizia – cioè l’arbitrio – padrona dei diritti e del pensiero di ciascuno di noi. E ora medita di frodare ai lavoratori un’altra parte delle loro difese, restringendo con nuove pastoie il diritto di voto. Compagni! Lavoratori! Folle chi pensa che le rivolte, domate oggi col piombo, perdurando le cause non risorgeranno un altro giorno. Spetta a voi – poiché il governo né vuole, né sa – antivedere e provvedere a che la disperazione non sia spinta più oltre. A voi spetta di evitare nuove stragi. Stringetevi compatti attorno alla bandiera socialista sulla quale è scritto: rivendicazione dei diritti popolari – restaurazione della libertà e della giustizia – abolizione di tutti i privilegi – guerra al militarismo – suffragio universale! Giorni gravi s’appressano. E’ tempo che il popolo italiano rifletta, ricordi ed alfine provveda a se stesso. Il paese salvi il paese!”.
E’ sorprendente leggere in un volantino di fine ottocento alcuni dei problemi irrisolti dell’oggi. L’assenza di lavoro, la prepotenza delle lobby, il militarismo, l’oppressione delle mafie, il diritto allo studio non garantito per tutti, il diritto di voto negato (in fondo con il “porcellum” non possiamo scegliere liberamente i nostri rappresentanti). L’unica differenza è che una volta i lavoratori potevano unirsi sotto una bandiera, espressione dei grandi ideali di liberazione, mentre nel nostro tempo, quello dell’individualismo, siamo soli, senza ideali, senza partito, e senza protezione. Per questo caro “Moralista” per una volta sei stato fin troppo ottimista.
Emanuele Bellato
24/04/2013
Emanuele mentre leggevo il tuo testo, il corpo centrale, pensavo di rispondere con la chiusura che cmq, ovviamente, tu hai fatto! Il testo è talmente coinvolgente che vorresti continuasse.
Forse davvero, questo sito, così come altri blog d’opinione, puó essere l’anticamera di una avanguardia culturale capace di mobilitare animi nobili e pensieri alti. E creare una coscienza condivisa e lontana da tutti i filtri sociali che abbiamo e ci opprimono giorno dopo giorno.
Io me lo auguro, anzi ne sono certo.
“Moralisti di tutto il mondo, unitevi!”
Bravo Emanuele.
Non c’è da stupirsi che gli accadimenti d’oggi riverberino quelli di fine ’800, così come non ci sarebbe da stupirsi se riverberasse quelli di fine ’700, o di fine ’600. Le radici della storia, anche se non ci piace ammetterlo, affondano nella natura che è alla base della nostra etologia, e quell’etologia è determinata dal nostro assetto genetico. Non bastano alcune centinaia (nè migliaia) d’anni per modificare l’assetto genetico d’una specie. La nostra specie, stanti medesime condizioni ambientali, esprime medesime reazioni comportamentali, anche se mascherate da diverse sovrastrutture culturali. Quali dunque le possibili soluzioni? Nessuna, se non si interviene sulle condizioni ambientali. Oggidì, l’elemento esacerbante delle relazioni sociali è dato non dalla cultura, ma dall’ammassamento di troppi individui su troppo ristrette unità territoriali. Nessun primate, uomo compreso, è in grado di sopportare condizioni simili senza pesanti conflitti. Aggiungiamo che l’economia ci mette del suo e completiamo il bel quadretto.
Carissimi Ampul e Ugo, non potevo sperare in un’accoglienza più calorosa. Il Moralista sta facendo davvero un ottimo lavoro e si vede anche dalla qualità dei commenti dei lettori. Raccolgo l’appello e lo rilancio: “Moralisti di tutto il mondo, unitevi!”.
Delle “qualità” del nuovo presidente del Consiglio , abbiamo già detto nel post precedente. Ci rimane da dire delle “qualità” del suo governo, appena insediato, ed etichettato come un governo “dei giovani e dei competenti”.