Papa Francesco mi ha fatto riscoprire l’orgoglio di dirmi cristiano. Ieri, dopo avere incontrato Angela Merkel, il nuovo Papa ha espresso con evangelica franchezza un concetto potenzialmente rivoluzionario: “Mentre la gente muore di fame la politica si occupa solo di finanza”, ha tuonato il Vescovo di Roma (clicca per leggere). Parole scontate? Naturale buon senso? Niente affatto. Questo tipo di denuncia acquista un significato specifico e pregnante proprio nella misura avviene immediatamente dopo lo sbarco in territorio Vaticano della kapò Merkel, punta visibile e autoritaria di qual progetto di involuzione oligarchica che non ci stancheremo mai di denunciare (c.d. neonazismo tecnocratico). La Merkel, abituata a rivolgersi con toni imperativi rispetto ai legittimi rappresentanti del governo italiano (“fate i compiti a casa!”), ha scoperto che esiste in Italia un uomo vestito di bianco che non scatta sull’attenti allo schioccar delle dita del potente alleato germanico. Un evento da non sottovalutare. Anche perché segna una netta discontinuità con il recente passato collaborazionista di una Chiesa, che da Bagnasco a Bertone, ha trascorso gli ultimi anni benedicendo la mano di chi, come Monti, toglieva il pane agli affamati e avvelenava i pozzi (clicca per leggere). In un periodo molto triste della nostra storia, mentre le più alte cariche dello Stato sono occupate da uomini che tramano contro l’interesse del popolo che indegnamente rappresentano, Bergoglio si pone come punto di riferimento spirituale e morale a difesa di quella dignità dell’uomo calpestata e vilipesa da più parti a colpi di spread, competitività e debiti sovrani. La Democrazia Cristiana, spesso saggiamente ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa, seppe in passato promuovere politiche capaci di conciliare libero mercato e rispetto della persona umana. Andrebbe quindi sfatato il mito che dipinge i pensatori cristiani alla stregua di inguaribili nostalgici del Papa Re incapaci di fare fino in fondo i conti con la modernità. Anche i rapporti intercorrenti tra magistero e capitalismo, spesso banalizzati, sono a ben vedere più complessi e profondi di quanto si possa immaginare. Scrive a tal proposito il gesuita Bartolomeo Sorge nel suo ottimo libro titolato Introduzione alla dottrina sociale della Chiesa: “Già l’Enciclica Populorum Progressio (Paolo VI, 1967, ndm) dopo aver rilevato che, a causa delle profonde trasformazioni economiche , politiche e sociali, la legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali, non conclude ribadendo il tradizionale giudizio etico negativo; ammette invece che, debitamente orientata, una economia libera di mercato potrebbe apportare evidenti vantaggi; esorta perciò a non prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza, ma a mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque umano”. Chi, laico o cattolico, non coglie la giustezza di una così in equivoca prospettiva? La globalizzazione purtroppo, come notava correttamente Papa Giovanni Paolo II nel 1987 nell’enciclica Sollecitudo rei socialis materializza quel fenomeno perverso che potremmo sintetizzare nel concetto di ricchezza senza nazioni. Una volta svuotati gli stati nazionali attraverso la promozione ai vertici delle istituzioni pubbliche di emissari nominati per tutelare interessi privatissimi, il sistema capitalistico tende a mostrare inerzialmente il suo volto peggiore. Solo l’intervento dello Stato può imporre una più equa distribuzione della ricchezza, destinare fondi per fini di utilità sociale fungendo da agente equilibratore di un modello che, se temperato da mano lungimirante e sapiente, ha già dimostrato di poter essere volano di ricchezza e benessere diffuso. L’aggettivo “morale” utilizzato da Paolo VI con riferimento al libero mercato nell’Enciclica Populorum Progressio va correttamente declinato secondo questa prospettiva. Papa Francesco, denunciando la malvagità di un sistema che affoga l’uomo nella tecnica, potrebbe temporaneamente supplire al terribile deficit democratico che una globalizzazione troppo rapida ha già nei fatti determinato.
Francesco Maria Toscano
19/05/2013
A me invece il biancovestito ispira una sensazione di untuosa ipocrisia. Parla in un modo, agisce in un altro. Non ho alcuna fiducia in costui, perché da che è lì (e non è più da ieri) nonostante i proclami ad effetto non ha fatto niente di significativo per noi Italiani (che, in definitiva, siamo la mammella più tonda dalla quale munge il “suo” latte). Ad esempio, per coerenza con l’amore per la povertà che predica a sproposito (basta vedere il fasto che lo circonda), potrebbe cominciare a mungere un po’ meno la vacca italiana. Cioè le mie tasche.
Detta terra-terra, il papa è un dirigente come tutti gli altri. E chi legge i miei commenti sa cosa penso delle dirigenze. In base a quale cedimento del senso critico dovrei credere alle sue azioni di teatro?
Veramente Bagnasco ha appena detto che chi ostacola questo governo ne risponderà davanti alla storia.
«La gente ha diritto a un governo stabile ed efficace”…
La tenuta del governo con la pacificazione tra Pd e Pdl…
«è ciò che tutti auspichiamo perchè il popolo si è espresso, il verdetto delle urne è stato chiaro pur nella sua complessità».
«L’ora è talmente urgente che qualunque intoppo o impuntatura, da qualunque parte provenga, resteranno scritti nella storia».
Bella roba davvero.
Mi sentirei orgoglioso di essere cristiano (o meglio di deciderei a diventarlo) se sentissi il Papa e i suoi Vescovi che un popolo ha il diritto di ribellarsi quando un governo ingiusto lo priva della possibilità di procurarsi i mezzi per vivere in modo dignitoso e dare la possibilità di studiare ai propri figli.
Scusate ho qualche problema alla tastiera e saltano lettere o parole intere…;)