E’ confortante notare come nell’arco di pochissimi mesi la percezione generale sulla crisi in atto sia radicalmente mutata. Nel novembre del 2011 la massoneria reazionaria impose Monti a capo del governo italiano spacciando una operazione politica di riordino sociale sul modello hitleriano per inderogabile necessità tecnica dettata dalla oggettiva crisi in atto (“siamo sull’orlo del baratro!”). Una operazione ingegnosa e sottile che, sfruttando la sostanziale incapacità del nostro sistema mediatico di decrittare la reale portata di alcune decisioni, ha impresso all’Italia una rapida svolta neo-oligarchica. Naturalmente non tutti i giornalisti che nel corso degli ultimi anni hanno decantato gli effetti salvifici della “austerità espansiva” (un ossimoro in senso stretto) sono stupidi come somari. Alcuni di loro, i più scafati e gerarchicamente sovra-ordinati, mistificano con dolo: difendono cioè la filosofia dei “sacrifici indispensabili” per averne un personale tornaconto in termini economici, di carriera o anche soltanto di prestigio relazionale. E’ difficile, tanto per capirci, ricevere un invito per partecipare ai lavori del Bilderberg senza avere prima diffuso il verbo neoliberista con convincente accanimento. Il Sergio Romano di turno, che sulle pagine del Corriere di oggi spiega perché non deve destare meraviglia l’alone di mistero che circonda le riunioni di alcune strutture paramassoniche mondialiste come la Trilateral Commision (alle quali, tra l’altro, il noto storico partecipa con evidente costrutto), conosce perfettamente le intrinseche e perverse finalità perseguite da alcuni provvedimenti di legge apparentemente freddi e burocratici. Ma di certo non può dire ai suoi lettori che le sadiche politiche di risanamento puntano a ricacciare le masse nel girone infernale della povertà e dell’indigenza. Se lo facesse, alla prossima riunione della Trilateral, i suoi superiori provvederebbero a crocifiggerlo come Fantozzi in sala mense (aiutati in questo da quell’alone di riservatezza che lo stesso Sergio Romano con fierezza rivendica). Tra la categoria elitaria dei co-belligeranti alla Romano e quella di chi proprio non ci arriva alla Vittorio Da Rold, esiste poi una spaziosa terra di mezzo formata da operatori dell’informazione che in buona fede cominciano ad interrogarsi in profondità. Ma sarà poi vero che dalla crisi si può uscire soltanto a colpi di tagli e licenziamenti? Questo sano interrogativo serpeggia oramai presso tutte le redazioni giornalistiche composte da uomini che non devono recitare un copione per contratto. La batosta elettorale subita dal divino Monti ha certamente contribuito a cambiare il clima. Se prima le analisi acute di un premio nobel come Paul Krugman venivano sistematicamente nascoste dal circuito mainstream, oggi, fortunatamente, è possibile leggerle persino su un giornale solitamente omologato come l’Huffington Post diretto da Lucia Annunziata (clicca per leggere). Negli ultimi anni solo alcune luminose avanguardie culturali presenti prevalentemente in rete hanno fieramente combattuto le sicumere ipocrite dei neoliberisti dogmatici. Fra i pochi che non hanno mai ceduto alla tentazione di assecondare il malsano e illiberale istinto di imporre il pensiero unico va correttamente segnalato il sito Dagospia di Roberto D’Agostino. Puntuale, irriverente e demistificante, Dagospia arricchisce di sicuro il panorama informativo italiano, nel complesso paludato e conformista. Anche oggi, lodevolmente, Dagospia ha rilanciato un pezzo pubblicato in prima battuta sul sito di Grande Oriente Democratico (clicca per leggere), poi ripreso e parzialmente manipolato (si presume in buona fede) dal portale on-line Globalist (clicca per leggere). Grande Oriente Democratico, infatti, ha scritto un articolo redazionale utile per fare luce sui mondi che circondano il nostro nuovo premier Letta-Letta. Quelli di Globalist, invece, prodigandosi in un’ opera di personalissima e grossolana sintesi del pezzo in oggetto, hanno finito con l’attribuirne erroneamente la diretta paternità in capo al leader di God Gioele Magaldi. Forse la redazione di Dagospia avrebbe fatto meglio a rilanciare l’articolo rivolgendosi direttamente alla fonte originale e autentica, bypassando cioè l’opaco lavoro di intermediazione cucinato dalle parti di Globalist. In ogni caso, al netto di qualche sbavatura, bisogna riconoscere che Dagospia è sempre sulla notizia.
Francesco Maria Toscano
20/05/2013