Leggendo i dati delle ultime elezioni amministrative balza subito agli occhi che le stelle del Movimento di Grillo non brillano più. In compenso è stellare l’astensionismo. A livello nazionale ha votato poco più del 60 per cento degli aventi diritto, mentre a Roma appena il 53 per cento. Quasi un romano su due ha disertato le urne. Il calo, tale da collocare l’astensione al primo posto nella competizione elettorale, è di 15 punti rispetto alle comunali del 2008 e 13 in meno sul dato delle ultime politiche di febbraio 2013. Giustamente il centrosinistra festeggia la vittoria al primo turno nei quattro capoluoghi di provincia (Massa, Pisa, Sondrio e Vicenza) e l’arrivo al ballottaggio in altre 12 città, ed in particolare nella capitale, però, senza nulla togliere allo sforzo profuso dai volontari e dai candidati, è come se Vincenzo Nibali avesse vinto il giro d’Italia senza concorrenti e senza spettatori. Questo astensionismo dovrà pur far riflettere. La gente oltre a non fidarsi più della politica è disillusa dall’antipolitica. I pentastellati a furia di parlare di casta, diarie e scontrini hanno perso il contatto con la realtà. Naturalmente dalle parti del M5S nessuna autocritica ma solo puerili rivendicazioni ed accuse contro l’Italia peggiore rappresentata dal Pd – Pd-L e la disinformazione dei giornalisti “cattivoni”. In realtà il Movimento 5 Stelle si è dimostrato un partito legato alla figura carismatica di Grillo e senza radicamento territoriale. In questi mesi, salvo qualche lodevole intervento in Aula, abbiamo visto la disorganizzazione e l’incompetenza di un personale politico incapace di dare il proprio contributo per il cambiamento del Paese e per costruire qualcosa di positivo. I temi del lavoro, dell’oppressione fiscale, dell’austerità imposta dall’Europa non fanno parte dell’agenda del duo Grillo-Casaleggio, o almeno sono temi secondari. Gli elettori grillini auspicavanoun “New Deal” invece si ritrovano a sentire il santone barbuto fare l’elogio del pareggio di bilancio. Sbraitare come degli invasati, ribellarsi senza causa, non serve a niente e forse Grillo poteva anche risparmiarsi il comizio a Vicenza in piena emergenza alluvione. Da queste elezioni amministrative esce sconfitta anche la Lega. Nell’ex feudo Veneto ha dimezzato i consensi. Nella città di Treviso, dopo vent’anni di dominio incontrastato, lo sceriffo Gentilini dovrà inseguire ed affrontare al ballottaggio il candidato del centrosinistra Giovanni Manildo. A Vicenza la sconfitta per il Carroccio è ancora più bruciante. Il sindaco uscente del PD Achille Variati ha staccato di ben 30 punti la big della Lega Manuela Dal Lago. Una curiosità: il leghista Attilio Schneck, ex presidente della Provincia di Vicenza (dal 2007 al 2012) ed attuale commissario governativo della stessa ha preso appena 48 preferenze. Su questa debacle hanno sicuramente influito i recenti scandali della famiglia Bossi e le divisioni interne tra i seguaci di Tosi e quelli di Zaia. Altrettanto clamoroso è il risultato deludente del Pdl, costretto al ballottaggio a Roma, spazzato via dalla Regione Valle d’Aosta, e messo in difficoltà a Brescia e Imperia. Un duro colpo per Berlusconi impegnatosi in prima persona a Roma con un comizio insieme ad Alemanno davanti al Colosseo. Ma passiamo al centrosinistra. Il Partito Democratico, nonostante le difficoltà riscontrate negli ultimi mesi e culminate con le dimissioni del segretario Bersani, ha tenuto ovunque, avanzando in molti casi. Però se andiamo a leggere le biografie dei candidati non si può certo parlare di uomini dell’apparato. Per esempio, restando a Vicenza, bisogna sottolineare l’ottimo risultato di Variati, un sindaco esperto, capace e ben voluto dalla cittadinanza, però si tratta di uno dei pochi “renziani” veneti. Ancora più clamoroso il risultato di Marino, già ostacolato dal Partito durante le primarie ed accolto malvolentieri, dopo la vittoria, dai vertici per le sue posizioni vicine a SEL e M5S. Il medico democratico è noto per essere un irregolare, infatti ha votato Stefano Rodotà per la presidenza della Repubblica e soprattutto ha negato la fiducia al Governo guidato da Enrico Letta. Ha ragione Debora Serracchiani, neopresidente della regione Friuli Venezia Giulia a dire: “Io e Ignazio (Marino, ndr), vincenti nonostante il PD”. Quindi Epifani, segretario pro tempore del PD, e il premier Letta farebbero meglio a smetterla di celebrare la vittoria delle larghe intese. Non è il caso di tirare sospiri di sollievo per lo scampato pericolo. Il non voto, significa rassegnazione e dunque risulta addirittura peggiore dell’antipolitica. Bisogna ridare una speranza agli italiani. Ritornare al più presto ad una sana e normale competizione elettorale tra schieramenti avversi. Solo lavorando bene e sodo, nell’interesse di tutti, per il bene comune, la politica potrà riconquistare fiducia e credibilità.
Emanuele Bellato
1/06/2013
Emanuele: “Il non voto, significa rassegnazione”
Questa è una lettura. Un’altra lettura, più preoccupante, è che il non-voto indica l’allignare progressivo della consapevolezza che non esiste rappresentanza, che “democrazia” è solo una parola. In mancanza di rappresentanza, a qualcuno magari un po’ “instabile” potrebbe venire in mente di ricorrere a tragiche forme di “fai da te”. Ah! Dimenticavo che è già successo, anche se l’obiettivo è stato mancato e c’è finito di mezzo uno dei tanti “scudi umani” dei quali si circondano i nostri non-rappresentanti.
P.S. Per valutare l’effettiva rappresentatività degli “eletti” sarebbe ora di smetterla di ragionare in percentuale, e cominciare a ragionare sul numero assoluto dei voti raccolti, confrontandoli con le “tornate” elettorali precedenti. E’ una non piccola differenza che ti invito a prendere in considerazione.