A sentire le parole del presidente Letta e del titolare del dicastero dell’economia sembrerebbe che l’Italia abbia deciso di disobbedire ai diktat di Bruxelles in tema di contenimento della spesa, concedendosi qualche licenza dal lato delle politiche espansive finalizzate alla crescita del Pil e dell’occupazione. “La legge di stabilità non si tocca” ha dichiarato con fermezza Saccomanni. “Basta con gli ayatollah del rigore”, gli ha fatto eco il premier Letta.
L’antefatto. In base alle nuove norme sul coordinamento delle politiche fiscali degli stati membri dell’Eurozona[1], lo scorso 15 ottobre il nostro paese aveva inviato alla Commissione il disegno di legge del governo contenente gli interventi di finanza pubblica per il triennio 2014-2016 (Legge di stabilità)[2], per il relativo vaglio di conformità ai criteri di convergenza sottoscritti insieme agli altri partner dell’Euro – club.
La Commissione, da parte sua, bocciava la manovra presentata dal governo italiano, rilevando che in essa non si evidenziavano interventi strutturali che avrebbero garantito il rispetto delle regole sul deficit. Secondo i tecnici di Bruxelles, insomma, il documento approntato dal governo italiano non garantiva alcunché circa l’allineamento dei nostri conti pubblici ai parametri fissati dal Patto di stabilità.
Una bocciatura bella e buona, che arrivava proprio quando il disegno di legge aveva iniziato il suo iter parlamentare. Com’era facile prevedere, il giudizio della Commissione finiva per sovrapporsi al dibattito appena incominciato in parlamento, dando luogo ad un cortocircuito tra il lavoro della massima assise rappresentativa nazionale ed il potere censorio dei tecnici di Bruxelles. Non a caso, in un mio articolo, ho espressamente parlato di “manovra economica a sovranità limitata”[3].
Nel frattempo, il 21 novembre, si è riunito nella capitale belga l’Eurogruppo, con all’ordine del giorno la valutazione di quanto rilevato dalla Commissione a proposito dei bilanci nazionali dei paesi dell’unione monetaria. E qui la musica è cambiata. Italia promossa. Forse che il nostro paese ha puntato i piedi di fronte agli “ayatollah del rigore” ottenendo una deroga al patto di stabilità? Macché. La chiave di lettura di quanto è accaduto nella riunione dei ministri finanziari sta tutta in una espressione: “Misure aggiuntive”[4]. Di cosa si tratta? Mettiamola così: l’Europa non ci fa le pulci sulla manovra e noi in cambio ci impegniamo a fare cassa attraverso un piano di dismissioni pubbliche e ulteriori tagli alla spesa. Le prime le chiamano anche “privatizzazioni”, si tratta in sostanza della svendita di quote significative che lo Stato ancora mantiene in settori strategici dell’economia, da quello energetico a quello dei trasporti, passando per la cantieristica navale e l’alta tecnologia. Un piano da 12-15 miliardi di euro, i cui costi verrebbero scaricati in larga parte sui lavoratori. Per non parlare dei rischi che in tempo di crisi una simile operazione potrebbe avere sulla tenuta di comparti produttivi fondamentali per il sistema paese.
Vogliamo essere più franchi? Il governo di Letta e Saccomanni ha barattato una patacca (Legge di stabilità) con gemme preziose (Asset strategici a capitale pubblico). Perché? Facciamo un altro passo indietro. Vi ricordate l’euforia che seguì alla chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo alla quale il nostro paese era sottoposto dal 2009? Si diceva: ora potremo contare su risorse aggiuntive da impiegare per la crescita. I più ottimisti parlavano di 8-10 miliardi, i più prudenti di almeno 3 miliardi. Sono passati sei mesi dal pronunciamento della Commissione, ma il film cui stiamo assistendo è di tutt’altro contenuto: i nostri conti di nuovo sotto la lente d’ingrandimento dei ragionieri di Bruxelles, che paventano nuovi sforamenti del tetto del deficit sul Pil e denunciano misure insufficienti per il conseguimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio, e il governo che per vedersi riconoscere la possibilità di derogare all’obbligo di ridurre ulteriormente il deficit/Pil verso l’obiettivo di medio termine (0,5%)[5], recuperando qualcosa come 3 miliardi da utilizzare come quota di cofinanziamento dei progetti europei, si impegna a recuperare 32 miliardi di euro nei prossimi tre anni, tra dismissioni e tagli alla spesa pubblica.
Sullo sfondo rimane una legge di stabilità che in sé non risponde né alle esigenze del rigore draconiano invocato da Bruxelles, né a quelle del paese che attende risposte concrete per portarsi fuori dalla crisi in cui è immerso. Le “misure aggiuntive” però, quelle che non fanno parte della legge di stabilità, come le dismissioni e soprattutto la spending review, definite nella riunione dell’Eurogruppo come “processi paralleli”, i loro effetti li avranno, eccome se li avranno. Avranno l’effetto di deprimere ancora di più l’economia, alla stregua di tutte le altre misure che finora sono state adottate nel solco tracciato dalla dottrina (ideologia?) dell’austerity.
Olli Rehn a tal riguardo è stato chiarissimo: “Mi aspetto che la spending review porti una serie di misure strutturali permanenti con risparmi di spesa”. Cosa c’è di nuovo? Nulla, evidentemente. E dire che un rapporto pubblicato da un economista della Commissione europea[6], Jan In’t Veld, non da un pasdaran antiausterity, ha dimostrato come i tagli alla spesa pubblica imposti nel 2011-2013 sono costati alla Grecia, alla Francia ed all’Italia una caduta del Pil rispettivamente di 8,05, del 4,8 e del 4,9 punti percentuali. D’altronde non è un caso che questo documento, pubblicato sul sito della Commissione europea, dopo essere stato ripreso da un giornale greco, sia stato prima rimosso dal sito ufficiale e poi ripubblicato con questa avvertenza: “Il lavoro non rappresenta la posizione ufficiale della Commissione”. Amen.
Ma il nostro premier è fiducioso, già vede la luce in fondo al tunnel: “Il 2014 sarà l’anno della crescita” ha dichiarato. Intanto le ultime stime dell’Ocse[7] ci dicono che per quest’anno chiuderemo a -1,9%, mentre l’anno prossimo potremmo attestarci poco sopra lo zero. In un paese dove un giovane su due non ha un lavoro, queste stime fanno semplicemente ridere. O piangere. Scelga il presidente Letta.
di Luigi Pandolfi
[1] European Commission- Directorate-General for Economic and Financial Affairs ( May 2013), Occasional Papers 147: The Two-Pack on economic governance: Establishing an EU framework for dealing with threats to financial stability in euro area member state/ B-1049 Brussels-Belgium.
[3] Luigi Pandolfi, La prima manovra economica a sovranità limitata, Economia e Politica, Ottobre 2013.
[4] Eurogruppo: bene misure aggiuntive Italia. Rehn: poco spazio per gli investimenti ma saggio pagare debiti Pa, Il Sole 24 Ore online, 22 novembre 2013.
[5] Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria, art. 3. (Fiscal Compact)
[6] Jan in‘t Veld (October 2013), Economic Papers 506: Fiscal consolidations and spillovers in the Euro area periphery and core,
B-1049 Brussels – Belgium.
[7] Economic outlook, analysis and forecasts/ Italy – Economic forecast summary (November 2013)
Da: economiaepolitica.it
Purtroppo siamo ormai SCHIAVI di una dittatura proteiforme.
Quando c’era Hitler, tutti sapevano chi era il dittatore, ora non riusciamo ad identificare il NEMICO!!!
(chi e’? Letta-Monti-Napolitano-Oli Rehn- Draghi-Merkel…?)
Un profondo senso di impotenza e castrazione !
Penso che uno dei pochissimi atti dimostrativi che ancora ci sono possibili, senza incorrere in sanzioni e pene varie sia il RITIRO DEI NOSTRI SOLDI dalle banche!
Questo fatto avrebbe un duplice aspetto positivo:
Primo non ce li potranno rubare (LORO i nostri governanti)
Secondo (qualora tutte le banconote fossero ritirate)
costringeremmo le varie banche centrali a stampare banconote per garantire il normale flusso vitale all’economia.
Ci sarebbe poi un effetto cascata, in quanto il gioco verrebbe scoperto con tutte le conseguenze del caso.
Saluti.
Spero possa sempre trovare la medesima energia, determinazione e chiarezza nella sua opera di denuncia-informazione.
credo che la parolina sia plutocrazia, attualizzata a oggi: consociazione tra padroni e sgherri)-: il nostro governo fa parte degli sgherri :-(. é probabile che oggi non passi la legge di stabilità, non per problemi di coscienza, ma perché non sono ancora riusciti a spartirsi la torta e come si sa la fretta è cattiva consigliera
[...] A sentire le parole del presidente Letta e del titolare del dicastero dell’economia sembrerebbe che l’Italia abbia deciso di disobbedire ai diktat di Bruxelles in tema di contenimento della spesa, concedendosi qualche licenza dal lato delle politiche espansive finalizzate alla crescita del Pil e dell’occupazione. “La legge di stabilità non si tocca” ha dichiarato con fermezza Saccomanni. “Basta con gli ayatollah del rigore”, gli ha fatto eco il premier Letta. L’antefatto. In base alle nuove norme sul coordinamento delle politiche fiscali degli stati membri dell’Eurozona[1], lo scorso 15 ottobre il nostro paese aveva inviato alla Commissione il disegno di legge del Leggi la notizia [...]
Specialità: un decreto sulla durata delle scuole Se il personale piange, gli specializzandi stanno alla finestra. Nell’ultimo testo è diventato meno netto il “taglio lineare” – da 5 a 4 anni a partire dall’anno accademico 2014-15 – previsto per i corsi di specializzazione in area sanitaria, che dovrebbe valere circa 200 milioni. All’interno del comma 31 dell’articolo 10 della legge di stabilità, quello sulla razionalizzazione della spesa pubblica, viene infatti specificato che «nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con proprio decreto, da emanarsi, di concerto con i Ministri della salute e dell’Economia e della finanze, entro il 30 marzo 2014, può stabilire una diversa durata dei corsi di formazione specialistica entro il limite di cinque anni». Nonostante la modifica, dal Segretariato italiano giovani medici (Sigm) guidato da Walter Mazzucco fanno sapere di essere intenzionati a rivolgere un appello alla Commissione Igiene e Sanità del Senato per chiedere un nuovo testo. L’associazione invierà a breve le sue proposte di emendamento a tutti i componenti della Commissione. Per il presidente di Federspecializzandi, Cristiano Alicino, la nuova versione del comma è «sicuramente migliorativa. Noi siamo d’accordo – spiega – sulla necessità di una rimodulazione dei percorsi di formazione specialistica. Non vorremmo, però, che la necessità del ministero dell’Economia di risparmiare risorse sia prevalente rispetto a quella di investire nella formazione dei medici. Resta poi in sospeso la questione se l’eventuale riduzione a partire dall’anno accademico 2014/2015 riguardi o meno i percorsi di studio già avviati, evenienza sulla quale FederSpecializzandi esprime fortissime perplessità».
È bene ricordare che la legge di stabilità è un insieme di intenti del governo, che dovranno essere comunque discussi, probabilmente modificati e approvati dal Parlamento nelle prossime settimane.