images6T838YGMLa forza della comunicazione televisiva sta nella sua capacità di imporre senza spiegare, di sintetizzare senza chiarire e, in fin dei conti, di presentare la complessità della politica sotto forma di pensierino banale, veicolato per attecchire nella mente delle masse alla stregua dell’ultimo detersivo di grido. Questo approccio, avviato in Italia da Berlusconi e ora da tutti accettato, contiene degli oggettivi punti di forza: 1) L’uso di un linguaggio semplice (“non sono un politico di professione”) convince erroneamente il cittadino-elettore circa la diminuzione delle distanze tra rappresentanti e rappresentati. 2) Un messaggio verosimile ma falso, ripetuto costantemente in termini essenziali, finisce per essere da tutti interiorizzato acriticamente quasi si trattasse di una verità rivelata. Non ci credete? Allora seguitemi. Il nostro premier, Enrico Letta-Letta, è appena tornato da una gita omaggio in Medio Oriente colmo di doni per il popolo italiano (clicca per leggere). Enrichetto il Chierichetto, in versione Re Magi, è felice come una Pasqua perché torna nel suo Paese dopo aver strappato dagli arabi una promessa di investimento di ben 500 milioni. Una cifra ragguardevole, non c’è che dire, pari a quanto speso dall’emiro del Qatar Nasser Al Khelaifi nelle ultime campagne acquisti destinate a rinforzare il Paris Saint Germain. Forse Letta spera in questo modo di poter riportare Ibrahimovic in Italia per la gioia dei tanti appassionati di calcio che non si sono mai rassegnati del tutto al declino della nostra serie A. In ogni caso, Letta-ridens, è felice. E noi siamo contenti per lui. Ma, attenzione, al di là degli aspetti grotteschi della vicenda, qual è il messaggio politico che si tenta surrettiziamente di accreditare? Quello secondo il quale  la ripresa passa necessariamente per l’arrivo in Italia di capitali esteri, capitali che arriveranno solo se l’Italia sarà politicamente stabile nonché in grado di fare quelle famose “riforme strutturali” in grado di accrescerne la competitività. Lo diceva ieri a Ballarò pure una specie di industriale di nome Regina, probabilmente produttore dei famosi “rotoloni” omonimi, utilissimi dopo aver espletato funzioni delicate che, come i sacrifici imposti dall’Europa, risultano spesso dolorose quanto indispensabili. Ora fermiamoci un attimo a riflettere. Cosa significa in concreto “maggiore competitività per attrarre investimenti esteri”? Detta così, orwellianamente parlando, sembrerebbe una cosa positiva. E persino un sondaggista meno attendibile del Mago Otelma come Nando Pagnoncelli avrebbe gioco facile nel registrare tramite sondaggio l’incoraggiamento sul punto dell’italiano medio interpellato. Peccato che le cose stiano diversamente. Quali sono i “Paesi già oggi competitivi” che ci invitano ad imitare? Quelli dove le imprese de-localizzano perché la manodopera costa poco o nulla. In pratica ci stanno dicendo che l’unica chance che abbiamo per superare la crisi è quella di diventare uguali ai cinesi. Vi piace l’idea? Ne dubito. Quindi chiedere le riforme strutturali per attrarre investimenti esteri significa proporre nei fatti una deriva da sud-est asiatico. Cosicché una proposta politica palesemente infame e indigeribile per chiunque, infiocchettata per l’occasione da media compiacenti e politici inetti e ignoranti, finisce con il divenire di “buon senso” e “ragionevole” anche agli occhi della vittima in buona fede che ascolta seriosa dalla poltrona di casa sua. Questo ingegnoso teatrino mi fa tornare alla mente la disperazione di quel tale al quale chiesero se fosse ancora in possesso di una “unità cinofila”. E quello, di rimando, tremolante rispose: “Dottore io come cane l’ho cacciato, ma come “unità cinofila” me lo sarei certamente tenuto”.

    Francesco Maria Toscano

    5/02/2014

    Categorie: Politica

    3 Commenti

    1. GLS scrive:

      Similmente, l’altra sera a Piazzapulita un personaggio che sembrava uscito da qualche non precisata commedia satirica italiana, tal imprenditore Brambilla della Brianza ha fatto delle affermazioni chiare e inequivocabili a riguardo. Di fronte ai lavoratori della Seves di Firenze (se non erro) che da alcuni anni hanno problemi e che da un anno hanno il forno spento e quindi stanno per chiudere a fronte dell’ennesima delocalizzazione, ha gridato a gran voce che si dovevano svegliare, aprire gli occhi e guardare in faccia alla realtà:” Viviamo nella globalizzazione, ve li potete scordare 1400 euro al mese. Siete disposti a mettervi in gioco e lavorare per 800 euro? Prendere o lasciare. Non ci sono alternative. I tempi sono cambiati. Dovete capirlo e farvene una ragione”. Non sono riuscito a cogliere l’ironia delle sue affermazioni, ma quello che mi ha lasciato perplesso e moderatamente preoccupato è stata la pressochè totale assenza di reazione alle sue parole soprattutto dal pubblico dello studio, quasi a sottolineare che oramai (vedi anche il caso Elettrolux) ci si stia abituando all’idea che poco è meglio di niente. Se si diffonde questa linea, pretendere non dico di più ma almeno lo stesso tenore di vita sarà vista come eresia e come assurda aspettativa proprio dagli stessi ai quali viene fatto il torto.

    2. Petronius scrive:

      Quoto sapendo che e’ inutile:

      “è stata la pressochè totale assenza di reazione alle sue parole soprattutto dal pubblico dello studio”

      Ragazzi, evidentemente non conoscete bene il Sudamerica, in particolare nel periodo a cavallo fra gli anni 80 e 90.
      Era l’inferno in terra (e lo e’ ancora oggi, esattamente come allora solo senza inflazione tipo che al ristorante pagavamo un miliardo e mezzo a testa) e la gente pativa la fame, i ragazzini e le ragazzine si prostituivano per strada e via dicendo.
      Avete ricordo di rivoluzioni sudamericane in quel periodo?
      Rivoluzioni e’ troppo; avete ricordo di oceaniche manifestazioni di popolo?
      Di medie manifestazioni?
      Microscopiche?
      Nulla, non c’e’ stato niente di niente e stavano 1000 volte peggio di noi.

      Ragazzi, in sudamerica la gente lavora 16 ore al giorno se no non campa; l’orario sarebbe 8 ore ma devi fare un secondo lavoro al nero se no muori di fame. E nessuno si ribella.

      Allora vi faccio presente che o ADESSO (non domani, ADESSO) le persone che capiscono, che hanno le competenze ma soprattutto che possono contare su una rete di relazioni (che poi sparira’) si ribellano tutte insieme COINVOLGENDO IL POPOLO o fra cinque massimo dieci anni non ci sara’ piu’ niente da fare perche’ la gente non sara’ piu’ in grado di reagire.

    3. ugo scrive:

      L’articolo sarà anche ovvio, ma tocca un punto fondamentale in modo ineccepibile. I due commenti che mi hanno preceduto sono anche meglio, e aggiungono quel tocco di sale che male non fa. Davvero, sta passando il messaggio che se io sto meglio e tu stai peggio, non è che dobbiamo accordarci affinché anche tu possa stare meglio, no!, sono io che devo stare peggio affinché tu possa avere la tua piccola vendetta. Peccato che quella vendettia sia orientata nella direzione sbagliata. Sbagliatissima. Il potere della propaganda è terribile e ha un fortissimo alleato nella mancanza di comunicazione sincera e sperticata nella vita reale – si cita spesso la televisione come mezzo imbambolante, ma vogliamo un attimo parlare di come smart phone e social network hanno ammazzato la comunicazione vera? Ora, io scrivo qui e in altri luoghi, e va bene così, ma non manco di farmi le mie belle litigate faccia a faccia, nel mondo reale. Facciamolo tutti, e che diamine! Potrebbe forse (forse) uscirne qualcosa di buono?

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      Francesco Maria Toscano, nato a Gioia Tauro il 28/05/1979 è giornalista pubblicista e avvocato. Ha scritto per Luigi Pellegrini Editore il saggio storico politico "Capolinea". Ha collaborato con la "Gazzetta del Sud" ed è opinionista politico per la trasmissione televisiva "Perfidia" in onda su Telespazio Calabria.

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