imagesIn un suo recente libro, titolato “Il Prezzo della disuguaglianza”, il premio nobel Joseph Stiglitz annienta alcuni falsi ragionamenti che tendono a legittimare il progressivo aumento della diseguaglianza: “Chi ha di più merita di più”, “chi più si impegna merita di vedere riconosciuti i propri sforzi” e “la disuguaglianza incentiva la sana competizione”, rappresentano solo una stringata sintesi del forbito stupidario che accompagna ad ogni latitudine il trionfo del sopruso e dell’ingiustizia. In realtà, come spiega dati alla mano Stiglitz, merito e ricchezza non vanno quasi mai a braccetto. Anzi, i numeri dimostrano quanto sia diventato complicato salire i gradini della scala sociale per coloro i quali provengano da contesti di partenza difficili e disagiati. Insomma, si è oramai sedimentata sul piano globale una aristocrazia del denaro che trasferisce privilegi per via esclusivamente dinastica. Dall’oppressione della classe aristocratica originale, quella che pretendeva di comandare in ossequio ad un non meglio precisato “volere divino”, ci siamo fortunatamente liberati nel 1792 oliando la ghigliottina. Per neutralizzare i progetti malefici degli schiavisti moderni, invece, basterà probabilmente predisporre piani di intervento molto meno cruenti. Il primo passo verso la libertà si chiama consapevolezza. E per quanto il sistema plutocratico dominante possa tenere a libro paga un numero impressionante di giornalisti ignoranti, corrotti e infingardi, nessuno potrà mai vietare agli uomini liberi e forti la possibilità di promuovere la realizzazione di una diversa società umana.  Per cui, anziché piagnucolare sulla mancanza di interventi miracolistici provenienti dall’alto, ognuno di noi si faccia profeta della sua comunità reale e virtuale. Le élite sanno perfettamente di poter soggiogare le masse solo carpendone furbescamente il consenso. A cosa pensate che servano le litanie sugli sprechi e la Casta, accompagnate dall’incessante retorica auto-flagellante che dipinge gli italiani sofferenti a causa dei bagordi del passato? Servono ad insinuare nei cittadini un recondito senso di colpa, utile per proiettare verso l’interno i sentimenti rabbiosi e distruttivi che, giocoforza, attraversano la nostra decadente comunità. Così si spiega anche il continuo aumento del numero dei suicidi. Quindi, introiettata come vera tale impellenza, è ora indispensabile riscoprire l’importanza della maieutica, al fine di consentire a chiunque di estromettere “fuori da sé” le troppe tossine dolosamente inculcate da un sistema di potere furbo, spietato, sadico e perverso. Oltre a colpevolizzare surrettiziamente i poveri, poi, il circuito mainstream magnifica le presunte virtù dell’upper class sovranazionale. Gli Elkann, i Draghi e i De Benedetti, solo per citare alcuni personaggi che a diverso titolo lavorano per il regresso dell’umanità, vengono sempre raccontati sui media di regime come “illuminati intenti a lavorare in maniera indefessa per garantire soluzioni di insieme che vadano nell’interesse dell’intera collettività”. In tal modo, nel popolino minuto, anziché sorgere un sano e legittimo sentimento di astio nei confronti di una categoria di parassiti che vive di rendita, germoglieranno al contrario sentimenti di plauso e di ammirazione, prodromici per la successiva accettazione degli altrimenti non tollerabili livelli di disuguaglianza raggiunti. Bisogna perciò ripartire rendendo più pregnante il concetto di uguaglianza. Ideale nobilissimo che non può essere declinato soltanto in senso minimalista, riconoscendo cioè a tutti gli uomini un formale e identico trattamento nel campo dei diritti civili e politici. E’ giunto il momento storico di trasformare l’uguaglianza sostanziale in manifesto politico, indicando ai troppi sfruttati del nuovo millennio, ovunque dislocati, una nuova quanto semplice prospettiva. Uguaglianza sostanziale non significa recupero della carcassa puzzolente del comunismo. Significa identico accesso all’istruzione e alle cure per tutti, significa diritto al lavoro garantito per tutti, significa diritto ad un salario dignitoso per tutti, significa tassazione altamente progressiva, in modo da scoraggiare fortemente il formarsi di oligopoli dominanti; significa inoltre riscoperta dell’autorità pubblica, indispensabile per tradurre i buoni propositi in realtà. Solo in questo modo potremo garantire a tutti e a ciascuno di vivere in un mondo che offra universalmente le stesse identiche opportunità. Non volendo rinnegare né il valore del libero mercato, né mettere in discussione il concetto stesso di proprietà privata, è sbagliato, illusorio ed insensato pensare di poter livellare completamente le vite degli uomini riducendoli ad automi alla completa mercé di uno Stato in versione Leviatano. Non è però sbagliato immaginare una forbice massima all’interno della quale accettare come giuste le naturali differenze economiche che un sistema libero inerzialmente produce. Si potrebbe immaginare una scala, dando ad esempio per scontato che nessun ricco possa ricevere compensi su base annua che eccedano lo stipendio di un povero moltiplicato per  dieci. Per cui, applicando una simile regola, se l’ultimo operaio della Fiat dichiarasse 20 mila euro l’anno di reddito, uno come Marchionne non potrebbe superare approssimativamente quota 200 mila. Questo criterio sarebbe perfettamente compatibile con il mantenimento della libera concorrenza e della libertà d’impresa, dovendo in prospettiva valere sull’intero orbe terracqueo, e incentivando contestualmente i più fortunati a farsi difensori delle istanze dei più deboli. Solo aumentando i salari degli ultimi infatti, i primi potrebbero moltiplicare fino a 10 volte le proprie ricchezze. Sulla fattibilità tecnica di una simile proposta ci sarebbe certamente molto da lavorare e da discutere. Ma le tecnica non deve mai permettersi di dire cosa si può fare e cosa non si può fare.  Tocca alla politica indicare le priorità. E la priorità dei nostri tempi, come dimostrano gli studi dei vari Stiglitz e Piketty, si chiama uguaglianza.  

    Francesco Maria Toscano

    3/06/2014

    Categorie: Editoriale

    52 Commenti

    1. Quantificare la soglia di povertà e in base a essa stipulare buste paga e altresì pensioni minime. Il problema, a mio avviso, non è la forbice tra ( citiamo il ricco e il povero per capirci) le varie classi sociali, bensì la base che costituisce la piramide della società. Voglio dire e quantificare, per esempio, che la soglia di povertà è considerata in mille euro mensili, sia gli stipendi minimi sia le pensioni debbono essere superiori alla soglia di povertà, affinché si possa creare una base ( benestante) con le sue regole e i suoi futuri. Caro Francesco, a mio avviso di conviene creare un tuo movimento e, sono certo, che dopo un anno di duro lavoro, considerando i tuoi illuminanti pensieri, saremmo il primo partito in Italia e altresì la nitroglicerina per distruggere il tempio malefico.
      Ad maiora e lunga vita.

      • Gianluca scrive:

        Voi pensate a redistribuire, ma intanto l’economia crolla. Le utopie, se non sorrette da buoni pilastri, si sgretolano scontrandosi con la dura realtà.
        Se non si hanno nemmeno gli strumenti fiscali e monetari, di che parliamo!?

    2. PIerluigi scrive:

      Un esperimento di Economia del Bene Comune è già in atto
      http://www.economia-del-bene-comune.it/
      Qualche lettore del Moralista ne conosce gli sviluppi ?

    3. alessandro scrive:

      La proposta di parametrare gli stipendi più alti a quelli più bassi mi auguro sia una provocazione, in perfetto stile del Moralista, tanto per evidenziare che tutto si potrebbe proporre se ci fosse la volontà politica. Ma realisticamente, considerando che ci sono paesi come la Cina (giusto per fare un esempio pratico), incentiverei forme d’integrazione dei mercati che adottino norme per la tutela dei diritti dei lavoratori. Per esempio un mercato comune fra tutti i paesi che adottino severe discipline contro lo sfruttamento del lavoro minorile e che stabiliscano dei tetti massimi agli orari di lavoro e garantiscano un salario minimo, ovvero un costo del lavoro medio orario “minimo”, che comprenda anche gli oneri sociali e previdenziali. Un’Autorità indipendente sovranazionale dovrebbe vigilare a che i lavoratori non siano sfruttati e costretti a lavorare 12 ore al giorno senza riposi settimanali e comminare sanzioni agli stati inadempienti. Gli accordi WTO prevedono sanzioni per gli stati che violano la libera circolazione delle merci e dei capitali, ma niente quando ad essere violati sono i diritti dei lavoratori e in molti stati si parla di diritti umani.

      • Spartaco scrive:

        La competizione con la Cina. Credo che questo sia il problema. Bisogna costituire gli Stati Uniti D’ Europa per competere con la Cina; bisogna rinunciare alle politiche sociali per competere con la Cina. Qualcuno sa spiegarmi perchè è cosi importante competere con la Cina? L’ Occidente se chiudesse nuovamente le frontiere non riuscirebbe ad essere autonomo? Dietro la scusa della competizione c’è forse il tentativo di integrare i popoli senza concedere libertà, uguaglianza e fraternità ai cittadini?

        • alessandro scrive:

          Per chi mi hai preso per un piddino qualunque? ci mancava solo che mi attribuivi “il fogno europeo per garantire la pace fra i popoli europei” e il quadretto sarebbe stato completo. Ho detto esattamente il contrario. Smetterei di fare affari con chi non rispetta i diritti umani e dei lavoratori, che sia Cina, India o Bangladesh. Quelli come te pensano di tenere Marchionne per le palle in Italia, ma se da altre parti il lavoro costa meno ci sarà sempre il problema delocalizzazioni. Minacciare delocalizzazioni è una forma di moderazione salariale, nel tuo paese!

          • Spartaco scrive:

            Credo ci sia stato un fraintendimento. Io condivido il fatto che bisognerebbe smettere di fare affari con chi non rispetta i diritti umani e dei lavoratori.
            Il mio quesito era il seguente:Qualcuno sa per quale motivo l’élite occidentale ha accettato che la Cina entrasse nel WTO? Prima di questi accordi non era più semplice per l’élite governare le nazioni, Europee e Americane, con un benessere diffuso? Perchè si è apparentemente complicata la vita impoverendo e incattivendo i popoli che deve governare?

            • alessandro scrive:

              Perché fondamentalmente le élite di potere pisciano su qualsiasi bandiera e mal tollerano i principi di democrazia. Odiano la sovranità popolare, che riduce loro gli ampi spazi di libertà di movimento cui li abbiamo abituati. Odiano vedere il tuo benessere e sono talmente sociopatici che, vedendoti stramazzare a terra in fin di vita, se è possibile, preferirebbero schiacciarti la scarpa in bocca! Il fine ultimo è il potere, fine a se stesso, che supera il concetto di supremazia economica, che supera lo spazio, il tempo… non gli importa neanche se vedranno l’alba del giorno dopo! il fine è concentrare il potere nelle mani di una ristretta oligarchia, che appare più come un sistema, un’entità astratta, piuttosto che una organizzazione personificata in qualche gruppo o cricchetta di magnati “illuminati”.
              Questa la mia sintetica opinione, ma a tal proposito, quando e se lo vorranno, solleciterei l’intervento di Francesco Toscano e, nelle more dell’uscita del tanto atteso Tomo del G.M. Magaldi, non sarebbe male anche un intervento del GOD o dell’affezionatissimo Fra Cazzo da Velletri, nel merito dell’interessante domanda posta da Spartaco… se è lecito chiedere, visto che i massoni progressisti leggono e partecipano volentieri al blog de Il Moralista e leggono anche le cazzate che scriviamo nei commenti…

              • Caro Alessandro,direi che hai colto bene diversi aspetti della questione. Compreso l’aspetto della sociopatia. Il quale, tuttavia, non riguarda la totalità dei soggetti (circuiti massonici neo-aristocratici) in questione. In effetti, amando il potere e la supremazia perché ci si sente “destinati e legittimati” ad esercitarla, si diventa alquanto cinici e indifferenti alle sofferenze delle masse. Non necessariamente sadici e non necessariamente propensi a infierire, ma ferocemente determinati a conseguire ad ogni costo i propri obiettivi. Tra i quali, naturalmente, c’è il trasferimento della sovranità dal “demos” agli “oligoi”. E quale occasione migliore, per abituare anche l’Occidente e il suo immaginario (conscio e subliminale) a forme di governance tecnocratica e oligarchica, se non l’inserimento della Cina (governata da una casta neo-aristocratica di burocrati fascio-comunisti) nel sistema del WTO e, in generale, nel cuore vivo della globalizzazione? Tenete presente, d’altronde, che tale inserimento cinese fu accuratamente preparato e progettato sin dall’alba degli anni ’70, con l’affiliazione presso una specifica UR-LODGE sovranazionale (molto attiva anche in Giappone)di diversi dirigenti comunisti cinesi che avrebbero traghettato il colosso cinese verso l’attuale forma originale di evoluzione politico-economica. Ma, su tutto ciò, rinvio alle pagine chiarificatrici ed esplosive del Fratello Gioele Magaldi, il cui libro Massoni. Società a responsabilità illimitata, se non vi saranno censure dell’ultim’ora, sta finalmente per vedere la luce. Vostro affezionatissimo Fra’ Cazzo da Velletri

              • alessandro scrive:

                Grazie per la risposta, attendo fiducioso il libro del G.M. Magaldi che, più che leggerlo, lo “divorerò”.
                Cordiali saluti

            • and scrive:

              A parer mio, il problema è stato la minore influenza (sugli eventi) e comprensione dei problemi da parte dei progressisti.
              Teoricamente fare gli USE dovrebbe servire ad avere peso politico nella contrattazione globale, io “controllo” 500mln di consumatori se tu vuoi vendere qui devi produrre secondo standard concordati.

              • Diego scrive:

                D’altra parte la merce a scarso valore aggiunto ed ottenuta con lo sfruttamento schiavile del lavoro, non andrebbe tanto forte sulle nostre strade se non fossimo in stagnazione da 2-3 lustri e in recessione da un paio d’anni, sempre coi salari tra i più bassi d’europa.

      • Edinz scrive:

        Il bello è che pensi che il Moralista provochi, proponendo un tetto ai guadagni più alti nei paesi occidentali, mentre credi realistico un accordo mondiale su salari e diritti minimi dei lavoratori!

        • alessandro scrive:

          è la nuova frontiera che dovrebbe ispirare le lotte sindacali a livello internazionale, è meno realistico menare il can per l’aia con le beghe domestiche del jobs act e altre amenità per attrarre gli investimenti esteri che servono ad allinearci verso il basso ai salari dei paesi in via di sviluppo

          • Edinz scrive:

            Perdonami, io sto con te. Sarebbe stupendo se tutte le persone godessero degli stessi diritti, non solo a livello lavorativo. Tuttavia, le condizioni di vita, i bisogni – soprattutto quelli indotti – e le aspettative delle diverse popolazioni sono così varie, che ritengo improponibile una soluzione come quella da te auspicata. Le culture non sono uguali, gli usi e costumi relativi al luogo. Quel che è un diritto inalienabile per te, potrebbe essere una questione nemmeno degna di nota per un pakistano o un congolese. Com’è possibile definire ciò che dovrebbe essere, quantomeno, il punto di partenza sotto il quale non si dovrebbe scendere? Anche qualora ci fosse la volontà politica (e non c’è) di mettersi intorno a un tavolo e provare a trovare insieme una base comune da cui partire per una discussione, si dovrebbe considerare che in Europa si lavora 40 ore a settimana, mentre un bimbo in Bangladesh lavora 18 ore al giorno, solo per fare un esempio tra i tanti possibili. Quale compromesso è possibile?
            Forse, e sottolineo forse, partendo dal fatto che il mercato lo fa anche la domanda, dovremmo provare ad acquistare in maniera più consapevole, rivolgendo il più possibile le nostre attenzioni a produzioni che consideriamo, secondo i nostri parametri (relativi al nostro luogo e al nostro tempo), moralmente più accettabili. Questo, nel medio/lungo periodo, potrebbe alzare il livello delle condizioni dei lavoratori di altre parti del mondo.

            • alessandro scrive:

              Ormai la frittata è fatta, dopo l’inclusione nel WTO di alcuni paesi, in particolare la Cina, rinegoziare i trattati è molto complesso sia dal punto di vista politico, che sotto il profilo giuridico (anche se non sono un esperto in materia). Intanto la battaglia presente sta nel bloccare il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) o cogliere l’occasione per introdurre il dibattito attorno ai diritti sindacali dei lavoratori e dei diritti umani universali che qualsiasi accordo commerciale dovrebbe considerare.

    4. Emilio L. scrive:

      Ritengo che un principio ampiamente condivisibile nella nostra società, eppure rivoluzionario, sia quello di contrastare non l’arricchimento in sè, ma l’arricchimento che avviene a danno dei lavoratori, come effetto di comportamenti predatori attuati dai soggetti imprenditoriali.

      Ad esempio, una serie di correttivi potrebbero essere questi:

      1.
      Le procedure di licenziamento collettivo per motivi economici/organizzativi, sono ammissibili solo a condizione che la retribuzione omnicomprensiva netta dei ruoli dirigenziali venga rinegoziata, per l’anno in corso e per i due successivi, entro un tetto massimo pari a cinque volte quella media dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato impiegati nell’azienda.

      2.
      Laddove l’impresa abbia proceduto a licenziamenti collettivi per motivi economici/organizzativi, gli eventuali “extra-profitti” conseguiti nell’esercizio in corso e nei due successivi sono oggetto di un ulteriore prelievo fiscale straordinario, a compensazione dei costi sociali prodotti. Per “extra-profitto”si intende quello corrispondente ad un rendimento sul patrimonio netto dell’impresa superiore al tasso medio sui titoli di stato a medio-lungo termine.

      3.
      Per contrastare la precarizzazione del lavoro, le retribuzioni minime tabellari dei lavoratori a tempo determinato sono maggiorate di almeno il 5% rispetto a quelle in vigore per i lavoratori a tempo indeterminato che svolgono le medesime mansioni.

      Un cordiale saluto
      http://marionetteallariscossa.blogspot.it

    5. Adriano scrive:

      La riparametrazione non mi sembra concretamente applicabile ma oltretutto non si capisce come si farebbe a stabilire il giusto rapporto. Che senso ha dire per esempio che il dirigente non può guadagnare dodici volte di più del dipendente? Praticamente nulla se per di più si tiene conto che esistono forme di remunerazione sul piano del “privilegio” che fanno molto più male all’uguaglianza della sperequazione dei redditi.
      La realtà è l’uguaglianza, al di là del generico proposito di offrire una vita dignitosa oer tutti, ha senso solo in quanto generatrice di effettive opportunità di mobilità sociale a tutti i livelli.
      Perché nessuno ne parla sul serio, per sempio lo mette per iscritto in uqalche programma politico o in qualche manifesto costitutivo e ci si limita ai discorsi sulla riparametrazione? Perché la mobilità sociale comunemente intesa in ascesa comporta il suo inverso ossia la discesa e questo contrasta irrimediabilmente con l’unico autentico ideale medio o piccolo borghese che è il mantenimento/miglioramento della propria rendita di posizione implicando necessariamente che è il disagio sociale ed economico dei molti è il mezzo doloroso ma inevitabile per permettere al ceto medio (e ovviamente ai potenti di cui il ceto medio rappresenta la servitù) il suo tenore di vita e l’accesso preferenziale al mercato del lavoro per i propri figli.

      È solo sulla mobilità sociale che si misura la sincerità delle intenzioni politiche.
      Naturalmente questo implica la diffusione e il successo di una nuova mentalità basata prima sulla condivisone e quindi sulla solidarietà che temo interessi a pochissime persone o gruppi.

      • Ecco, caro Adriano. Vedi com’è strana la vita. Ribadisco tutte le critiche che ti ho fatto in precedenza su altre questioni, ma trovo assolutamente condivisibile- parola per parola- quello che hai scritto in questo commento. Evidentemente, quando vai al punto delle questioni e ti astieni dall’utilizzare toni saccenti, presuntuosi e insolenti nei riguardi di posizioni che nemmeno hai ben compreso, esce fuori il meglio di te. Espresso anche con eleganza sintattica e argomentativa.
        Me ne compiaccio.
        Affezionatissimo Fra’ Cazzo da Velletri

        • Adriano scrive:

          Vedi che quando riesci a superare i complessi di inferiorità peculiari a quelli della tua casta sei in grado di trovare del buono anche in chi non la pensa come te? Non è una qualità da poco.

          • Caro Adriano, te lo dico con amorevolezza: evita di scrivere fregnacce e di dare giudizi superficiali su cose, persone e circostanze e ne guadagnerà il senso complessivo dei tuoi interventi. Io non appartengo a caste (la Massoneria progressista in quanto tale, anzi, le ha storicamente abbattute a partire dal ’700) e non ho il minimo complesso, né di inferiorità, né di superiorità. Quanto a trovare del buono in chi non la pensa come me, non capisco che significhi. Il pensiero altrui lo si può condividere o meno. Ma lo si deve sempre rispettare, se è espresso con garbo e senza presunzione, saccenza o mala fede. Se e quando tu o chiunque altro (per quanto antipatico, insolente o screanzato in altre occasioni) esprimerete dei pensieri condivisibili, lo riconoscerò volentieri. E se e quando non sarò d’accordo con quanto dici, ma tu lo avrai detto con sobrietà e affabilità, sarò lieto di confrontarmi con te in termini altrettanto civili e affabili. Buona mattinata. Fra’ Cazzo da Velletri

            • Adriano scrive:

              Fra Cazzo, proprio non sei intuitivo.
              Sei ripetitivo?
              Ossessivo.
              Pomposo.
              Permaloso.
              Un paio di altre cose.
              Hai tanta energia quello sí; io no, mi sono già stufato di queste goliardate senza allegria.

              • Che bella famiglia siamo. Ci mandiamo a fanculo a vicenda e poi ci cerchiamo. A prescindere dai contenuti, in codesto sito assaporo la familiarità, voglio essere scurrile: teste di cazzo, mi siete simpatici.Ad maiora e lunga vita.

              • Diego scrive:

                Adrià, e fa uno sforzo su, mamma mia

            • Adriano scrive:

              Renato, sei simpatico anche a me e poi il bibliofilo è un animale che si addentra in luoghi sempre pieni di sorprese.

              • Adriano scrive:

                Diego, leggi bene per cortesia. Ho fatto un complimento a Fra Cazzo e lui ha preso d’aceto pure sul complimento.
                Ma non c’è problema è evidente che stiamo dalla stessa parte.

    6. Giovanni Tranchida scrive:

      credo che un buon punto di partenza possa essere rivedere la normativa riguardo al diritto allo sciopero

      • Adriano scrive:

        Cioè? (Vi prego di apprezzare l’eleganza sintattica e argomentativa di questa mia domanda).

        • Giovanni Tranchida scrive:

          penso che un’idea possa essere limitare i cortei trasformandoli però in assemblee davanti luoghi simbolo della protesta o meglio ancora in grandi piazze in centro città al fine di:
          1- una più efficace gestione dell’ordine pubblico evitando l’infiltrazione nel corteo di gruppi violenti; eliminazione della possibilità di manovra da parte dei gruppi di cui sopra e prevenzione degli errori tattici delle forze dell’ordine nel contrasto agli stessi;
          2- tutela delle proprietà private e pubbliche interessate dai percorsi dei cortei per i motivi di cui al punto 1;
          3- minori disagi alla libertà di movimento di quanti non interessati allo sciopero con conseguente maggiore empatia nei confronti degli scioperanti;
          4- minore possibilità di strumentalizzazione dei disagi alla popolazione o della partecipazione allo sciopero da parte dei politici e dei mezzi di informazione
          ma soprattutto
          5 – una assemblea organizzata in un luogo ben preciso permetterebbe di incrementare i tre fattori che considero fondamentali per un gruppo nella riuscita dei suoi intenti e cioè:
          informazione – motivazione -coesione. Reputo questi tre fattori interdipendenti e direttamente proporzionali tra loro.
          potrebbe essere un’idea?

          • Adriano scrive:

            No vabbè ragazzi, non vi rendere proprio conto.
            O forse ho semplicemente frainteso io. Ecco dev’essere questo.

            • Giovanni Tranchida scrive:

              mi spieghi meglio per favore?
              ti spiego nel frattempo il mio di percorso logico. la gestione di ogni conflitto si basa su 4 livelli: politico, stabilisce l’indirizzo dell’azione; strategico, definisce gli obiettivi per il conseguimento degli obiettivi del livello superiore; tattico, definisce le azioni da intraprendere per il conseguimento degli obiettivi strategici; operativo, chi esegue le tattiche. Inoltre non bisogna dimenticare la basilare per il successo: il consenso della popolazione. Alla luce di quanto detto ho iniziato a ragionare sugli dal livello decisionale più basso: il tattico. Ecco la ratio del mio intervento di prima. Poi se vogliamo parlare in astratto su cosa fare senza parlare del come, facciamolo; ma i monty python lo fanno meglio in brian di nazareth.

              • Giovanni Tranchida scrive:

                correzione: a ragionarci su

              • Giovanni Tranchida scrive:

                scusate gli errori, condizione basilare

              • Adriano scrive:

                Voglio dir che è sbagliato, “in questo momento”, mettere l’accento sulla differenza fra quelli che scioperano e “gli altri” che subiscono i disagi (per quanto tu lo dica in parte con l’intento di sollecitare una maggiore empatia verso gli scioperanti).
                Uno sciopero, purtroppo, funziona precisamente creando qualche disagio “agli altri” perché è il modo in cui i lavoratori fanno capire di rappresentare una forza indispensabile per la società. Non è che l’unico referente sia il padrone che ci rimette per la mancata produzione di quel giorno, uno sciopero convince l’imprenditore anche e a volte soprattutto facendogli sentire la pressione della comunità.
                Quindi bisognerebbe ricordarsi che quelli che scioperano sono la stessa cosa di quelli che non scioperano ossia sono tutti dei lavoratori e facendo rispettare il proprio diritto di contestare un contratto o di domandare migliori condizioni in realtà stanno aiutando e non danneggiando “gli altri”
                Per di più attualmente, in barba alla coscienza di classe marxiana che dove sta non lo so, i cittadini sono vergognosamente divisi in categorie rivali fra loro anche nell’ambito della stessa azienda, una situazione che implica “immediatamente” un vulnus gravissimo della sensibilità democratica dei cittadini.
                Si deve “sviluppare” in ogni modo la coscienza di apoartenere alla stessa comunità sociale nei lavoratori mentre il tuo ragionamento, a mio rispettoso avviso, rivela la sottostante mentalità medio borghese che tende a isolare la propria condizione di benessere relativo (a prezzo della totale insignifcanza in quanto “soggetti politici”) considerandola come “il valore” da difendere per eccellenza.
                Ecco, dovreste rendervi conto che in realtà state per perdere tutto e se proprio volete ragionare ancora in termini utilitaristici vi converrebbe assolutamente cominciare a pensare in termini di condivisione e solidarietà con quelle classi che, forse senza rendervene pienamente conto, fino adesso avete considerato come l’agnellino innocente da sacrificare in nome del vostro orticello e della possibilità di accesso al lavoro per i vostri figli.
                Caro Giovanni, o si capisce che da questa situazione si esce affrontando l’incognita di un radicale cambio di paradigma non solo politico ma anche spirituale e interiore, o i giochi come vedrai fra breve si possono considerare ampiamente fatti. E non sarà un bello spettacolo quello che vedremo fra non molti anni (chi ci arriva, ovviamente).

          • Luca scrive:

            Non credo che una tale regolamentazione possa essere efficacemente attuata, quantomeno nel settore privato dove, al contrario di quello pubblico, non esiste una normativa in tal senso. Di questa anomia legislativa biosgna “scendere”, probabilmente, al I° comma dell’art. 39 Cost. laddove si dice che “l’organizzazione sindacale è libera”, anche nelle manifestazioni di autotutela. Inquadrare un tale attività in parametri legislativi significherebbe, di fatto, comportare un arretramento dell’ordinamento sindacale al periodo corporativo. Inoltre, le questioni da te sollevate, sono già tutelate dal diritto penale. Per concludere, dovrebbero essere i vertici a capo delle organizzazioni sindacali ad attuare una strategia di sciopero più consono a farsi ascoltare e benvolere dall’opinione pubblica, ricordando, sempre, che in un’ottica di smantellamento delle tutele lavorative è preliminare, per lor signori, ed ovviamente naturale, depotenziare il sindacato nel suo ruolo istituzionale.

          • Gionni scrive:

            “una più efficace gestione dell’ordine pubblico evitando l’infiltrazione nel corteo di gruppi violenti; eliminazione della possibilità di manovra da parte dei gruppi di cui sopra e prevenzione degli errori tattici delle forze dell’ordine nel contrasto agli stessi”

            Gli infiltrati della polizia come li togli?
            Sei mai stato in una manifestazione “tosta”?
            Hai mai visto i lacrimogeni Cs da vicino?
            Hai mai visto scudi e manganelli che si alzano?
            Hai mai visto quando la polizia ti invita alla carica,battendo il manganello sullo scudo?
            Hai presente cosa è successo al carcere di Genova durante il G8?
            Hai presente la zona rossa coi cecchini?

            • Giovanni Tranchida scrive:

              Molto semplice. Tutte le manifestazioni degenerate in scontri hanno in comune una dinamica: il movimento della massa di protestanti contrapposto a quello della massa delle forze dell’ordine (masse di manovra). Altri elementi chiave sono la libertà di movimento e l’iniziativa, quest’ultima ascrivibile solo ai manifestanti. Limitando la libertà di movimento l’iniziativa di chiunque voglia provocare scontri viene annullata perchè:
              1- in una folla non in movimento non c’è copertura per i gruppi violenti o infiltrati;
              2- eventuali azioni violente sarebbero più facilmente contrastabili a causa dell’isolamento di questi gruppi dalla massa pacifica
              3- eventuali errori di spiegamento del dispositivo di sicurezza non sono ammissibili nel contenimento di una folla statica e conseguentemente per i gruppi violenti viene annullata la possibilità di fuga.
              Eliminando la cornice nella quale avvengono gli scontri si azzera la possibilità di infiltrazione di gruppi o di errata, colposa o dolosa che sia, gestione dell’ordine pubblico

              • Gionni scrive:

                No,direi proprio che non hai idea delle dinamiche delle manifestazioni e sopratutto hai guardato parecchia televisione.Ti levo tutte le tue certezze:l’azione alla Diaz durante il G8:folla inerme,azione annunciata della Polizia.Chi è stato?

              • Adriano scrive:

                Ma mi sembrava che si parlasse di scioperi, non di manifestazioni.
                Negli scioperi la dinamica è del tutto diversa e qui vedo che improvvisamente si parla del G8 di Genova che non era una sciopero.
                Forse mi è sfuggito qualcosa.

              • Gionni scrive:

                “Tutte le manifestazioni degenerate in scontri…”

                ““una più efficace gestione dell’ordine pubblico evitando l’infiltrazione nel corteo di gruppi violenti; eliminazione della possibilità di manovra da parte dei gruppi di cui sopra e prevenzione degli errori tattici delle forze dell’ordine nel contrasto agli stessi”

                Chiedilo a lui caro Adriano.2

          • Adriano scrive:

            Intendo dire che mi pare sbagliato “in questo momento” mettere l’accento sui disagi che gli scioperanti creano agli “altri cittadini”.
            Gli scioperanti non sono un settore a sé stante che in quanto sciopera diventa altro dai cittadini; sono dei lavoratori e quindi sono come (quasi) tutti gli altri cittadini.
            Innanzitutto, purtroppo è cosí e non ci si può fare niente, una parte del successo dello sciopero è necessariamente dovuta proprio al disagio che si crea agli altri che in quel momento non stanno scioperando ossia gli scioperanti dimostrano in questo modo la loro importanza per la comunità. Non è che c’è un altro modo per quanto non sia simpaticissimo per nessuno, nemmeno per loro che lo sanno bene.
            Secondo, dovrebbe essere ovvio per tutti che casomai bisognerebbe implementare la solidarietà fra lavoratori delle diverse categorie invece di rimarcare come fai tu le differenze (anche se ho letto che uno dei tuoi fini è anche il tentativo di creare una maggior empatia verso gli scioperanti).
            Invece succede che il mondo del lavoro è vergognosamente diviso fra le categorie mandando fra l’altro a farsi benedire il macchinoso concetto di coscienza di classe di Marx.
            Ho sentito con le mie orecchie dei lavoratori orivilegiati criticare le rivendicazioni degli operai FIAT che stavano e stanno mille volte peggio di loro.
            Non mi dilungo oltre anche se sono stato sommario ma ribadisco che l’ostacolo maggiore è quello di riuscire a far caoire al piccolo borghese che non se ne rende ancora conto che si trova nella stessa barca di quelli da cui crede di essere distante.
            Il che un giorno, mi auguro, lo spingerà a caoire che l’unico scopo della vita non è il mantenimento della rendita di posizione e che la condivisione e la solidarietà sono le sole scelte che gli permetteranno di non essere spazzato via e ridotto come quei proletari che oer adesso considera gli animaletti da sacrificare in nome del proprio misero giardinetto.

      • Luca scrive:

        La normativa riguardo al diritto di sciopero si trova nella Costituzione. Sai cosa vorrebbe dire togliere il diritto di sciopero ai sindacati e, di riflesso, ai lavoratori? Significherebbe togliergli lo strumento più efficace di autotutela collettiva, con cui contrastare la naturale posizione di preminenza del datore di lavoro…Mi fanno ridere tutti coloro che dicono:”mai più i sindacati, aboliamoli!”. E sai qual è la cosa ancora più buffa? Che a contestarli sono proprio i lavoratori! Hahaha. Sono d’accordo con chi contesta gli indirizzi politici-sindacali assunti dai vari leader sindacalisti nel corso degli anni, Ma non per questo dobbiamo abolire l’organizzazione sindacale. E’ come se per colpire le malefatte dei Presidenti del Consiglio che si sono succeduti alla guida dell’Italia, volessimo eliminare tale figura istituzionale dal nostro ordinamento. Purtroppo c’è molta disinformazione in giro su questo argomento, la quale, ovviamente, è creata ad arte per favorire gli interessi datoriali e consentire una riduzione delle tutele dei lavoratori. Nel Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014, sottoscritto dalle 3 Confederazioni sindacali, peraltro, ci stiamo dirigendo pericolosamente verso un ordinamento intersindacale ostile al diritto di sciopero…

        • Giovanni Tranchida scrive:

          non penso minimamente di limitare il diritto di sciopero, anzi, al contrario, sono per un’estensione dello stesso; solo in forme diverse (vedi sopra)

      • and scrive:

        Con la libera e incontrollata circolazione dei capitali, lo sciopero diventa inutile.
        E questo non vuol dire voler bloccare l’esodo di qualche risparmiatore o milionario per timori di persecuzione (temo sia questa la radice di tante incomprensioni con l’elite progressista), ma mantenere una vigilanza pubblica(indipendente?) sui flussi finanziari sia in entrata che in uscita per poterli in casi eccezzionali limitare o indirizzare (per es. 100MLD in entrata come credito al consumo di beni esteri possono equivalere ad un trojan militare).

        • and scrive:

          Questa constatazione mi rende forse un comunista? non credo.
          un socialista? neanche questo credo.
          un anti-liberista? certamente.
          un anti libertà? non credo.
          un anti-capitalista? ma neanche per idea.
          uno statalista? fossi matto.
          un anti-liberoscambista? ecco, forse questo sarebbe un termine da approfondire in tutte le sue implicazioni.

          • Rodion scrive:

            un socialista? Credo di sì: se sei un democratico non puoi non essere socialista (almeno secondo Mortati)

            un anti-liberista? certamente. (Dopo Keynes per liberista, si intende il capitalismo sfrenato ante ’29)

            un anti libertà? Occhio che la “libertà” ha un piccolissimo problema… potrebbe essere limitata da quella di qualcun altro…

            uno statalista? Se sei keynesiano un po’ lo devi essere per forza e, se sei un vero democratico, Stato lo scrivi con la maiuscola.

            un anti-liberoscambista? sovrapponibile a anti-liberista…

            Ti suggerisco di porti questa domanda:

            Sei un anti-liberale? Magari un anti-libertario?

            Bé… ti svelo un segreto: non c’è più illiberale del liberale.

            Il vero liberale è l’anti-liberale.

            Il vero libertario è l’anti-libertario.

            La “Libertà è Schiavitù”

    7. […] criticato un mio recente articolo volto a rimettere al centro del dibattito la questione sociale (clicca per leggere),a non sottilizzare troppo. Il nostro principale obiettivo deve essere oggi quello di spezzare […]

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    "nella mia vita ho conosciuto farabutti che non erano moralisti ma raramente dei moralisti che non erano farabutti." (Indro Montanelli)


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      Francesco Maria Toscano, nato a Gioia Tauro il 28/05/1979 è giornalista pubblicista e avvocato. Ha scritto per Luigi Pellegrini Editore il saggio storico politico "Capolinea". Ha collaborato con la "Gazzetta del Sud" ed è opinionista politico per la trasmissione televisiva "Perfidia" in onda su Telespazio Calabria.

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