Cosa rappresenta oggi Renzi? Cos’è il “suo” partito democratico? Come si può qualificare l’azione del suo governo? Dopo la grande manifestazione della Cgil a Roma e la Leopolda di Firenze, forse, a queste domande è più agevole dare una risposta.
Incominciamo dalle prime due, con una premessa: questo ragazzotto vivace e molto ambizioso è un figlio prediletto della lunga e pervicace crisi della politica che ci sovrasta dalla fine degli anni ottanta e del modello berlusconiano che, intelligentemente, l’ha interpretata e cavalcata per oltre un ventennio. Non c’è dubbio: il Cavaliere politicamente è finito, ma la sua eredità incombe, impastandosi agli effetti tossici, sul versante politico e sociale, della crisi economica ancora in atto. Di che modello si tratta? Tre, a mio avviso, i suoi principali elementi costitutivi, che, mutatis mutandis, rinnovano con Renzi la loro presenza nel sistema politico italiano:
1)La politica è la comunicazione. Berlusconi è stato il pioniere della televisione commerciale nel nostro paese ed il primo politico al mondo che abbia concepito il suo partito alla stregua di una merce qualsiasi da piazzare sul mercato. In questo caso parliamo ovviamente di mercato elettorale. Di più: Forza Italia, che già nel nome richiamava il genio della trovata pubblicitaria, nacque prima in televisione, in quanto spot, e poi nel paese reale, nelle città, nei territori. Col tempo anche Forza Italia ha dovuto concedere qualcosa alle regole, ed anche alle liturgie, della politica tradizionale, dandosi un minimo di organizzazione a livello sia centrale che periferico. E tuttavia non si può non riconoscere che sia stata più la politica “tradizionale” ad essersi “Forza-italianizzata” in questi anni che non il contrario (il crollo degli iscritti al Pd suffraga ampiamente questa tesi).
2) Il partito è il suo leader. Anche questo fenomeno, che negli ultimi anni è cresciuto enormemente nel nostro paese, è in qualche modo riconducibile alla semina berlusconiana, da cui si è sviluppata una visione dei partiti e della politica in cui a contare sono principalmente il carisma del capo ed il suo “saper apparire” televisivo. Ha fatto scuola, insomma, una certa visione della politica, che dalle parti del partito berlusconiano è stata ad un certo punto anche codificata, con esplicita allusione alla nota categoria weberiana del potere carismatico.
3) Ciò che conta è la volontà del popolo. La “volontà popolare”, in questa ottica, diventa l’unica fonte di legittimazione del potere carismatico, anche a scapito delle regole formali della democrazia e del confronto con i corpi intermedi della società. Il ragionamento è questo: chi ha ricevuto un mandato dal popolo per governare, solo a quest’ultimo deve dar conto del proprio operato.
È il poker del populismo postmoderno, della democrazia televisiva (e del web), nuova frontiera dell’integrazione passiva delle masse nella vita pubblica della nazione. Telecomando, tastiera e smartphone al posto dei luoghi fisici della discussione, del confronto, della socializzazione delle idee. E il voto (comprese le primarie) per consegnare una delega in bianco all’uomo della provvidenza.
Matteo Renzi: il presenzialismo generoso nei salotti televisivi nazionalpopolari, il primato delle slide sulla formalità dei provvedimenti adottati, l’immagine dell’uomo solo al comando, la retorica del “noi siamo legittimati dal 40,8% degli elettori” e quella del cambiamento ostacolato da lobby, burocrazia e non meglio decifrabili poteri forti, l’insofferenza verso i sindacati, gli intellettuali e in generale verso il dissenso, costituiscono o no gli ingredienti di una versione 2.0 del berlusconismo che abbiamo conosciuto negli anni passati? Senza dubbio, di più c’è solo Twitter. Perfino la crociata contro la sinistra (Sic!) del partito appare come una prosecuzione della retorica berlusconiana contro i “comunisti”, nemici immaginari, ovviamente, che esistevano soltanto nella propaganda, esattamente come i “nemici del popolo” esistevano soltanto nella propaganda dei partiti staliniani.
Il resto è figlio della crisi economico-finanziaria scoppiata sette anni fa, che le élite capitalistiche hanno assurto a metodo di governo, sostenendo ovunque la causa del trasversalismo e delle larghe intese, appoggiando – anche finanziariamente – figure mediocri e ubbidienti a capo dei governi nazionali.
All’ultima Leopolda il Pd neoberlusconiano è stato definitivamente sdoganato. Di fatto è stato rottamato ogni residuale senso del pudore di fronte all’evoluzione di un partito vie più coincidente con il suo leader e il suo ipertrofico esibizionismo mediatico. È nato un nuovo partito, di destra per la sua visione dell’economia e della società, populista ed ispirato dai poteri forti, funzionale al governo autoritario della crisi. Giudizio troppo forte? Non avrei altri aggettivi per definire una forza politica in cui c’è spazio per le posizioni del finanziere Serra sul diritto di sciopero!
Veniamo infine ai contenuti dell’azione di governo. La parola chiave del Renzi-pensiero è “cambiamento”. Un termine che, insieme a quello di “progresso”, ha da sempre sostanziato il linguaggio della sinistra. Con una differenza di fondo, però: il “cambiamento” perorato dal premier, sotto dettatura di Confindustria e della Troika, è un “cambiamento regressivo”, che, in nome dell’ideologia neoliberista oggi dominante, mira a destrutturare, ad alleggerire, ciò che rimane del modello sociale “europeo” nel nostro paese, in continuità con le dure politiche di austerità già adottate dai governi precedenti, a partire dal grigio e rude governo Monti.
Ciò che distingue questa fase da quelle precedenti è solo l’abile, efficace, declinazione populistico – demagogica delle scelte che si compiono, con rovesciamento ingannevole del segno e delle finalità dei provvedimenti che di volta in volta si assumono. Si sta dentro il recinto dell’austerità decretandone il fallimento; si tagliano diritti annunciandone la loro estensione; si crea nuova precarietà dichiarandone tra gli strombazzi la fine.
La legge di stabilità appena varata, che per essere compresa va letta in maniera coordinata con la delega sul lavoro (Jobs Act), è il manifesto di questo nuovo corso del Pd: vecchie ricette liberiste (meno tasse alle imprese = crescita) e attacco ai diritti dei più deboli serviti come se si trattasse di una soluzione (di sinistra) alle crescenti ed insopportabili disuguaglianze della nostra società. Insomma, l’atto di fondazione della nuova destra italiana, che alla vecchia stazione di Firenze ha trovato la sua trionfale ed incontrastata consacrazione.
Luigi Pandolfi
la nuova destra della vecchia estrema sinistra….,di destra non c’è nulla
Di sinistra Renzi non ha nulla… non scherziamo.
I Giapponesi Sono Intelligenti. gli Italiani Sono Coglioni.
10:29 31/10/14
Questa notte si è verificato un piccolo evento storico: in Giappone ogni mese il governo emette 50 miliardi di titoli di stato e da oggi ne fa comprare alla Banca Centrale per 60 miliardi. Cioè i giapponesi dimostrano nella pratica che il debito pubblico è una finzione.
(October 31, 2014 5:24 “BoJ stuns investors by expanding monetary easing programme”)
La Banca Centrale del Giappone ha aumentato a 6,600 miliardi di yen (che sono circa 60 miliardi di euro) al mese e quasi 700 miliardi di euro l’anno gli acquisti di titoli di stato. Da inizio anno ne comprava per 50 miliardi al mese e ora è salita a 60 miliardi al mese
Avendo come noto un debito pubblico doppio dell’Italia pari al 200% e rotti del PIL e mantenendo un ampio deficit annuale, lo stato giapponese deve emettere circa 50 miliardi al mese di titoli di stato. Ma se ne fotte, giustamente.
Perchè in altre parole la Banca Centrale non solo finanzia lei tutto il deficit e si compra tutti i titoli di stato in scadenza, ma da oggi si è messa anche a ricomprare quelli che circolano
In parole povere i giapponesi dimostrano, in modo macroscopico e plateale, a tutto il mondo che il DEBITO PUBBLICO NON E’ VERO DEBITO, E’ UNA PARTITA DI GIRO TRA GOVERNO E BANCA CENTRALE, CHE LO STATO COSI’ COME LO EMETTE SE LO PUO’ RICOMPRARE
Conseguenze terribili di questo “stampare moneta” ? L’inflazione in Giappone è tra l’1% e l’1,5% e la disoccupazione al 3,5%.
Nella foto_ la disoccupazione che queste politiche dissennate di stampa di moneta hanno portato, pari al 3.5%
http://www.monetazione.it/blog/defaultEconomia.php?topicGroupID=1&idr=123568859#123568859
Perfetto Gianluca, uno dei tanti nodi che non si vogliono sciogliere è proprio questo: il Giappone emette moneta mentre l’Italia no si è asservita ancor di più allo straniero che ci occupa da 70 anni e che manovra anche la famosa unione europea.
Siamo imbrogliati e beffeggiati da secoli, un popolo lasciato nell’ignoranza della verità è manipolabile e reso coglione. La consapevolezza va conquistata, però, da parte del popolo cioè nostra: ed è difficile conquista, non si finisce mai in realtà.
Le suggestioni dell’articolo circa le affinità, per certi versi, fra la leadership del decotto Cavaliere e del bulletto fiorentino sono interessanti, ma fino ad un certo punto. Il nocciolo duro della questione verte più sui poteri forti e i loro diktat ai quali l’attuale premier risponde. Se trascuriamo l’aspetto prettamente umano non si può addivenire ad una sintesi. Nell’uomo Renzi monta una crescente ambizione e desiderio di accreditarsi nei salotti buoni della politica che conta. Questi per entrare nei salotti è costretto a bussare educatamente e ad entrarci in punta di piedi, sempre che gli si accordi il permesso. Il vecchio Cavaliere, data anche la sua potenza economica e gli strumenti mediatici di cui dispone, era sicuramente molto più indipendente dai poteri forti del Mr. Bean toscano, ciò gli consentiva di mantenere meglio la schiena dritta. I capi di Stato chiedevano al Berlusca un posto di lavoro nelle sue aziende, una volta finito il mandato nel loro governo. Unico problema che il programma della destra berlusconiana è sempre stato imperniato da tutti quei dogmi neoliberisti cari agli stessi poteri forti, i quali hanno appoggiato il Cavaliere finché è convenuto. Purtroppo la destra berlusconiana non è riuscita a realizzare neanche un decimo della rivoluzione liberale promessa, ma ha tirato a campare, incidendo solo superficialmente sulle strategie di sviluppo economico e sull’ammodernamento del sistema Italia. Il giovinotto fiorentino invece deve ancora farsi e l’ambizione che monta su di lui lo spinge ad accelerare la corsa verso le alte vette del potere, desideroso di essere ricoperto di generose blandizie. In sostanza i padroni di casa dei salotti buoni hanno ammonito il pollicino fiorentino: http://www.youtube.com/watch?v=14ZjVMqaNw4
“eeh qui comando io… e questa è casa mia… ogni dì voglio sapere chi viene e chi vaaa..”