A breve uscirà in libreria il mio ultimo libro “Il Nazismo Tecnocratico, genesi, ratio e storia di un mostro mai raccontato”. Il libro intende offrire al lettore la possibilità di fermarsi per riflettere sulle vere causa di una “crisi” che ha oramai palesemente gettato al macero intere generazioni. L’approccio scelto, con quali risultati sarà poi il lettore a dirlo, è multidisciplinare. Ho cercato infatti di leggere i fenomeni storici contemporanei sotto diversi punti di vista, nella speranza di riuscire a semplificare la complessità. Ogni uomo, nel raccontare un fatto, tende naturalmente ad esasperare gli aspetti che sono più familiari rispetto al proprio sentire. Per cui un economista individuerà nell’“austerity” la causa della crisi, un filosofo segnalerà lo smarrimento del substrato etico quale causa prima dello sfacelo, mentre un diplomatico marcherà l’accento sul fallimento del dialogo intergovernativo. Ognuno di loro, in sintesi, porterà in dono un pezzo di verità. Nel mondo di oggi, dove la disinformazione si persegue non per mezzo della censura ma attraverso la scientifica divulgazione di una miriade di notizie spesso tra di loro palesemente contraddittorie e debitamente atomizzate, la vera fatica non è tanto quella di reperire le fonti, ma di riuscire meticolosamente ad unire i punti per individuare le cointeressenze che tengono insieme fenomeni apparentemente autonomi e non sovrapponibili. Fuor di metafora, che legame esiste, se esiste, fra l’applicazione della teologia neoliberista in Occidente e le guerre “per la democrazia e la libertà” in Medio Oriente? Che ruolo svolgono i media nel legittimare l’esercizio di un modello di governo che, in Europa, mostra ora il suo volto palesemente oligarchico e autoritario? Dire che la Grecia è stata usata come cavia di laboratorio per la consumazione di un macabro esperimento sociale significa essere “complottisti”? E come mai tutti quelli che non accettano passivamente la narrazione prevalente tendono ad essere bollati quali accaniti “demagoghi” e “populisti”? E’ complottista ritenere frutto di un “complotto” (ma forse sarebbe meglio parlare di “progettualità” più che di “complotti”) il ricorrente automatico utilizzo di un simile spauracchio? Intorno a queste domande si snoda un racconto che si è sforzato di indagare anche le possibili influenze che alcune dottrine esoteriche, di derivazione prevalentemente gnostica, potrebbero avere esercitato nel guidare la mano violenta dei decisori visibili. Me lo dico da solo fin da subito: la tesi che viene fuori dal libro è certamente “complottista”, e non potrebbe essere diversamente. Perché oggigiorno, per non finire nel girone dei complottisti trascinati da qualche giornalista tipo Scalfari in versione Caronte, bisogna credere che “i sacrifici aiutano la crescita”, che “la crescita è debole quest’anno ma si rafforzerà l’anno prossimo” (questa frase va ripetuta di anno in anno come un mantra, a prescindere cioè dai dati reali), che “l’Isis riesce da sola a tenere testa a tutti i migliori eserciti del mondo”, che “la guerra in Iraq era indispensabile per distruggere le armi di distruzione di massa” e cosi via. Potremmo andare avanti all’infinito. Quindi il sistema pone ognuno di noi di fronte ad un bivio inaggirabile: o “complottista” o “inguaribile credulone e rincoglionito”. Io, nel mio piccolo, ho scelto consapevolmente di imboccare la prima strada. In conclusione intendo esprimere piena solidarietà alla bravissima scrittrice Enrica Perucchietti, autrice di un bel libro- “False Flag, strategia della tensione e terrorismo di Stato (Arianna Editrice)- che mi ha fornito spunti di riflessione decisivi, documentati e mai banali. Sfortunatamente il libro non è però piaciuto a tutti, considerato che la Perucchietti si è guadagnata a causa delle sue idee “eretiche” l’iscrizione d’ufficio all’interno di una lista- stilata dal Cdec (Centro di Documentazione Ebraica) diretto da Gadi Luzzatto Voghera (clicca per leggere) - che tiene insieme in un unico “vaso d’obbrobrio” personalità molto diverse fra di loro tutte presuntivamente accusate di “antisemitismo”. Si passa con nonchalance da personalità conosciute e illustri, “colpevoli” di palesare un legittimo approccio filo-arabo rispetto alle questioni di politica internazionale, a perfetti sconosciuti che sfogano effettivamente in rete le rispettive frustrazioni vomitando ignobili nostalgie naziste. Questo tipo di lavoro non aiuta affatto. Per il futuro una maggiore acribia, vista la delicatezza dei temi affrontati, sarebbe oltremodo auspicabile. Nell’analisi di Enrica Perucchietti infatti, e in questo sottoscrivo le parole del giornalista Pino Cabras (clicca per leggere), non è mai rinvenibile alcuna inclinazione neppure lontanamente “antisemita”.
Francesco Maria Toscano
17/06/2017