Si avvicina il tempo in cui il nuovo governo del “cambiamento” dovrà varare la “legge di Stabilità”- la vecchia Finanziaria- passaggio importante e delicato che ci dirà quanto c’è di concreto nelle stanze del potere “gialloverde”, al netto cioè della fisiologica retorica e propaganda. Il governo Conte vive al proprio interno qualche evidente contraddizione, avendo dovuto “accettare” la nomina di Tria e Moavero alla guida dei ministeri più pesanti, figure “tecniche” certamente sconosciute all’elettorato ma ben conosciute dentro i circoli frequentati dai soliti “illuminati finanzieri” che vivono il popolo come un fastidioso impiccio. Lo dico subito per non alimentare confusioni: pur con le sue ambiguità, meglio l’attuale governo di tutti i governi precedenti a guida Pd, palesemente subalterni rispetto al gotha oscuro del potere europeo, Pantheon dissimulato dove sguazzano i soliti nazisti tedeschi travestiti da “liberali progressisti”. Ma la fortuna di governare potendo contare sul sostegno involontario di una opposizione che fa schifo solo a pronunciarla non basterà per sempre. Il governo del “cambiamento” deve offrire subito dei segnali concreti nella direzione dell’inequivocabile superamento dell’antico paradigma improntato alla cieca austerità imposta dai tragici Trattati europei, con buona pace di Tria, del presidente Mattarella e dei vari Cottarelli che predicano privilegi per se stessi e sacrifici per gli altri. Certo, non si può pretendere tutto e subito. Ma non si può neanche rinviare all’infinito l’ineluttabile “redde rationem” con il mostro europeo, anche perché- come dimostra la tristissima parabola di Matteo Renzi- l’elettorato non è più disposto a concedere lunghe linee di credito a nessuno. Se Tria non intende allargare i cordoni della borsa per non dispiacere il suo amico Renato Brunetta o per non incorrere nell’ira del sempre vigile Mario Draghi, se ne vada. Nessuno ne sentirà la mancanza. Se poi l’allontanamento di Tria in versione Filini dovesse provocare l’innalzamento dello “spread” poco male. Sarebbe a quel punto indispensabile aprire una discussione vera e franca sulla sostenibilità di una costruzione comunitaria che mette follemente in competizione fra di loro i diversi Stati sovrani che utilizzano una moneta comune. Un obbrobrio politico e giuridico, sconosciuto nel resto del mondo, che soddisfa solo le bramosie malsane di pochi speculatori privati che si arricchiscono ricattando interi popoli e intere nazioni. Tatticamente è possibile che i “gialloverdi” intendano affrontare di petto tale questione solo all’indomani delle prossime elezioni europee che dovrebbero ribaltare gli attuali rapporti di forza. Si tratta di una strategia comprensibile, a patto che Di Maio e Salvini non arrivino all’appuntamento del 2019 con il fiato corto, già screditati dalle melliflue manovre di chi, come Tria, lavora a viso aperto per il fallimento delle prospettive “sovraniste”. Sarebbe infine il caso che la Lega di Salvini, magari anche con l’aiuto del prof. Bagnai, abbandonasse il pericoloso abbaglio liberista che di tanto in tanto sembra possederla come un demone; così come sarebbe il caso che Di Maio la smettesse di reggere il moccolo a vantaggio di pescecani come Soros che hanno appena organizzato quella pantomima di processo andato in scena all’Europarlamento contro il legittimo presidente ungherese Orban. Comunque so’ ragazzi…Miglioreranno.
Francesco Maria Toscano
13/09/2018