I risultati delle elezioni in Abruzzo, da analizzare senza eccessiva enfasi, ci dicono qualcosa. Ci confermano innanzitutto quello che già sapevamo, ossia che la Lega di Salvini è la vera grande beneficiaria di questo nuovo equilibrio politico che gira intorno alla cosiddetta alleanza “gialloverde”. Non solo gli ex (grana) padani mantengono la “golden share” sul governo nazionale, ma si assicurano anche posizioni di assoluto vantaggio all’interno degli Enti regionali e locali promuovendo alleanze a “geografia variabile”, raccattando cioè sul territorio tutta una serie di disperati in fuga da quel Titanic chiamato Forza Italia. Il M5S, invece, fedele ad un consolidato concetto di “purezza”, respinge i naufraghi che provengono dal Pd, presentandosi sempre in “splendida solitudine”. In questa ottica il 20% racimolato dalla grillina Marcozzi non è da buttare. Di sicuro Di Maio e company sono meno “scafati” di Salvini, “gattopardo” lombardo bravissimo nel tutelare posizioni antiche facendo finta di aprire la strada al “nuovo”. In realtà Salvini, a parte una lodevole e necessaria spinta per un rigido controllo delle frontiere, ricalca per molti aspetti le orme di quelli che lo hanno preceduto. Anche Salvini infatti, sull’esempio di Berlusconi, sposa un impianto politico sostanzialmente liberista, attento alle ragioni dell’impresa e diffidente nei confronti delle misure cosiddette “redistributive” care ai pentastellati. “Normalizzati” i vari Borghi e Bagnai, oramai ridotti con astuzia al ruolo di “pierini della politica” (della serie “l’euro ci piace se piace a Matteuccio nostro”), il vero dominus delle segrete strategie leghiste è il lombrosiano Giancarlo Giorgetti, eminenza grigia (così grigia da tendere al nero) del Carroccio che coltiva solidi e fruttuosi rapporti con tutti i peggiori figuri dell’establishment italiano ed europeo. Cresciuto alla scuola di Gianni Letta Giorgetti è diventato non per nulla un pupillo del giornalista (con rispetto parlando) Francesco Verderami del Corriere della Sera, il quale raramente riesce adesso a finire un articolo senza far conoscere al trepidante popolo bue il pensiero dello “statista” di Cazzago Brabbia. Sottile nell’accompagnare una retorica incendiaria ad una sostanziale “morbidezza” nell’agire concreto quotidiano, Salvini è riuscito con astuzia a spostare verso il “basso” lo scontro sociale, lasciando ai più “garibaldini” cinquestelle il compito di (provare) a prendere di petto i “poteri forti”. L’opposizione all’attuale governo- come è oramai chiaro a tutti- non la fa il Pd, che è un ectoplasma in via di rapida di estinzione ma i sedicenti poteri di “garanzia”, probabilmente così chiamati perché garantiscono solo sé stessi, a partire da quel covo di sepolcri imbiancati che è Bankitalia. Dopo avere lanciato il sasso insieme a Di Maio, dopo avere cioè giustamente chiesto che i funzionari di palazzo Koch- a partire dal cocco di Mario Draghi Ignazio Visco- paghino in ogni sede per gli errori compiuti nell’ultimo decennio, il “Capitano” è subito corso a nascondersi sotto la gonnella (o il grembilino?) di Conte e Tria, con lo stesso spirito di un ragazzaccio che sa di avere appena compiuto una marachella. Fino ad ora questo gioco spregiudicato ha tenuto. Ma siamo sicuro che questo teatrino reggerà ancora per molto?
Francesco Maria Toscano
12/02/2019
Non per nulla i Pentastellati si sono logorati, mentre il finto sovranista Salvini veleggia sempre più in alto.