Quelli che hanno irriso il risultato di Fusaro a Gioia Tauro o sono in malafede o non hanno capito nulla. Fusaro andrebbe ringraziato perché, a differenza di tanti soloni che pontificano comodamente dai salotti televisivi, il giovane filosofo torinese ha deciso di impegnarsi direttamente per combattere una battaglia ai limiti dell’impossibile. La politica locale è specchio e gestione dei poteri prevalenti. Quelli che amano semplificare evocano solo la presenza ‘ndranghetistica, avvalorando l’immagine di una comunità intera tenuta in ostaggio da una minoranza armata e socialmente isolata. Questa chiave di lettura è falsa. In realtà- oltre alla ‘ndrangheta pura- esiste una vastissima “zona grigia” che costituisce l’acqua dove i pescecani sguazzano e che spesso guida i processi decisionali visibili e legittimi. Il tessuto economico è fortemente influenzato da dinamiche incompatibili con una idea di libero mercato e libera concorrenza; a cascata quindi tale evidenza empirica influenza perciò anche le dinamiche occupazionali e del lavoro e infine il controllo del consenso. Come sia possibile credere che dentro una realtà dove la disoccupazione giovanile supera il 50%, e dove gli interessi materiali sono appannaggio di simili logiche, possano poi sorgere e sbocciare autonomamente classi dirigenti capaci invece di servire un’idea interesse generale e non di tutelare i privilegi e le aspettative dei gruppi dominanti (non necessariamente di natura esclusivamente mafiosa) Dio solo lo sa. Io credo che non esistano all’interno della società gioiese (e calabrese in genere) forze sufficienti per ribaltare lo stato di cose attuale in breve tempo. Per questo ho chiesto a Fusaro di candidarsi, perché solo ponendo al centro del dibattito nazionale una irrisolta questione meridionale- di cui Gioia Tauro è sublimazione e specchio- potremo sperare in prospettiva di ottenere qualche risultato. In queste condizioni i nostri 300 voti rappresentano un autentico miracolo che induce speranza. La nostra più che una competizione politica è stata una testimonianza “pedagogica”, abbiamo cioè voluto dimostrare ai votanti che esiste anche un altro modello di politica, che rispetta il libero convincimento degli elettori, che non chiede voti e che si sforza di alzare il livello del dibattito culturale trattando tutti da cittadini e non da sudditi. Avremmo potuto fare diversamente e cercare di allargare ad altri soggetti? Certo, avremmo potuto. Ma a che prezzo? Sarebbero stati loro a sposare i pilastri della nostra Rivoluzione o avremmo rischiato noi di farci assorbire da un sistema fatto di metodi “tradizionali” e “consuetudinari” che spesso camminano sul filo sottile che separa l’immoralità dall’illegalità? Noi non abbiamo fretta, la nostra Rivoluzione politica si imporrà per inerzia una volta terminata la semina culturale. Quando si opera a certe latitudini si avverte infine l’impressione di come alcuni “mondi”- quelli che formano livelli superiori di “sovragestione di territori particolari e sensibili” (l’esistenza di un livello superiore e compensativo del potere si evince anche dallo studio di alcune recenti inchieste della DDA reggina)- lavorino in maniera più o meno dissimulata per blindare l’esistente. Ma anche quando si finisce con l’essere assaliti da dubbi difficili da metabolizzare bisogna comunque trovare la forza e il coraggio di andare avanti. Questo è il nostro invito e questo è il nostro messaggio. “Compiere fino in fondo il proprio dovere”, insegnava Falcone, “qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, rappresenta l’essenza stessa di tutta la moralità umana”.
Francesco Maria Toscano
1/06/2019
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