L’ex governatore della banca d’Italia Antonio Fazio è stato condannato a 4 anni di reclusione per aggiotaggio con riferimento alla scalata della banca Antonveneta. I più ricorderanno la vicenda che, nell’estate del 2005, quella dei “furbetti del quartierino”, tenne “banco”. Senza inseguire le singole e tristi vicende personali che hanno contraddistinto all’epoca l’operato dei tanti eccellenti protagonisti della vita pubblica italiana, tra i quali spicca la figura dell’ex governatore ciociaro oggi condannato, il dato complessivo che merita di essere analizzato e approfondito riguarda una serie di aspetti. In primo luogo, la condanna di un potente come Fazio, emessa da un tribunale italiano in nome del popolo italiano, restituisce un minimo di speranza circa la tenuta dell’impianto democratico della nostra declinante democrazia. Gli italiani sono infatti abituati a pensare che il cosiddetto “garantismo” riguardi soltanto i vertici della società, mentre le pulsioni giustizialiste, mai sopite, possano tranquillamente essere soddisfatte colpendo gli ultimi anelli di un una società divisa in caste dal sapore antico. Sia chiaro, dal punto di vista soggettivo sulla condanna di un uomo, chiunque esso sia e qualunque cosa abbia fatto non è mai cosa nobile gioire, ma la consapevolezza che la legge non riguarda soltanto immigrati e disoccupati rinforza la fiducia nelle istituzioni e garantisce coesione sociale. In secondo luogo, questa sentenza deve costituire un monito per le nostre classe dirigenti circa l’indispensabilità di non mischiare dolosamente affari e politica. Nell’estate del 2005, anche grazie alle denunce coraggiose e solitarie del deputato Bruno Tabacci, venne fuori uno spaccato inquietante. Una specie di “bicamerale degli affari” teneva in scacco il Paese. Nessuna forza politica pareva immune dal sistema e le diverse scalate, da Antonveneta a Unipol, davano l’impressione di essere intrecciate. La Lega in un primo momento attaccava Fazio e il suo modo di interpretare il ruolo, fino a quando, in seguito allo scandalo della banca leghista “Credieuronord”, non decise improvvisamente di cambiare linea politica. Il giudice Clementina Forleo, che intendeva tentare di accertare tutte le responsabilità, anche quelle della politica di destra e di sinistra, finì pesantemente delegittimata ed isolata per aver definito big della politica come D’Alema e Latorre “consapevoli complici di un disegno criminale”. Una cosa è certa, il cammino per ristabilire le fondamenta di un sistema che non si regga soltanto sul concetto di forza, alienato cioè da ogni parvenza di agibilità democratica, è ancora lungo. Ma un passo nella direzione giusta è già di per sè una buona notizia.
Francesco Maria Toscano