Di Travaglio apprezzo la capacità di archivio, la straordinaria memoria e ,a volte, la sagace ironia. Credo che la sua presenza arricchisca in generale il panorama giornalistico italiano e sia utile nella misura in cui non si pretenda di trasformare Travaglio in quello che non è. Travaglio non è un politologo, non è un analista e non possiede visone d’insieme né capacità strategiche. E’, al contrario, un eccellente cronista di giudiziaria che possiede un salutare senso di responsabilità misto ad un evidente rispetto per la politica che, proprio per la sua altissima funzione, non dovrebbe essere riservata in via quasi esclusiva a collusi, troiette e maneggioni. Chi, come lo sceneggiatore Piccolo, accusa Travaglio di “fomentare l’antipolitica spianando la strada a d un nuovo Berlusconi”, sbaglia completamente la diagnosi. Piccolo scambia i sintomi con le cause, dando così inconsapevolmente forza ai tanti manigoldi trincerati indegnamente dentro le massime istituzioni. L’antipolitica, caro Piccolo, è proprio quella che il vicedirettore del “Fatto” denuncia. I politici che dopo venti anni si ricordano della “trattativa con la mafia” che, secondo una ipotesi investigativa decretò la morte di Borsellino, sono l’antipolitica. Le maitresse che allietano le serate del satrapo ricompensate con un posto di pubblica responsabilità sono l’antipolitica. Il governo dei tecnici, avallato dal Quirinale, che umilia, scavalca e sminuisce il concetto stesso di democrazia rappresentativa è l’antipolitica. I parenti di Fini in Rai o accasati in immobili ereditati dal partito sono l’antipolitica. Il balbettante e incolto Lorenzo Cesa, già reo confesso nonché prescritto nel processo per le tangenti Anas del 1993, è l’antipolitica. I diessini impegnati nella scalata Unipol sono l’antipolitica. Renzo Bossi, Cristiano Di Pietro e il familismo amorale sono l’antipolitica. Non basta, Piccolo, non guardare per far sparire la malattia. E fin qui ha ragione Travaglio. Dal quale però non si può pretendere altro se non una valida e argomentata invettiva. Quando poi infatti è il momento di affrontare questioni economiche e geopolitiche complesse, come quelle che hanno imposto i governi illegittimi di Monti in Italia e Papademos in Grecia, Travaglio palesa tutti i suoi limiti. Come si evince chiaramente dalle parole del Travaglio convinto, ad esempio che l’avvento dei tecnici è “il frutto dell’imminente fallimento finanziario nel quale questa politica ci ha trascinato”. Analisi evidentemente parziale e tutto sommato fuorviante.