Mi interrogo spesso sul concetto di violenza ma difficilmente riesco a comprendere in profondità le diverse sfaccettature di questo inestricabile fenomeno. Tutti, a parole, si dichiarano perennemente scandalizzati dall’utilizzo della violenza quale criterio per dirimere i contrasti, regolare i rapporti e definire le diverse gerarchie. Eppure, per quanto mi consideri un fervente sostenitore del metodo dialogante e tollerante, non riesco a non subire un moto di stizza repressa nei riguardi di tutti quelli, e sono tanti, che condannano soltanto le forme che, di volta in volta, accompagnano i tanti volti che può assumere il mostro violento della sopraffazione e dell’arroganza. E’ difficile non notare come spesso, la condanna del cosiddetto violento, rappresenti più realisticamente soltanto la pena accessoria che la società riserva ai perdenti. E’ facile isolare, demonizzare e colpire chi, non avendo strumenti diversi né materiali né intellettuali, si limita a tradurre la sua disperata condizione in atti di sterile vandalismo o si preoccupi di partecipare a manifestazioni di massa dove spesso affiorano istinti bestiali sopiti ma mai del tutto scomparsi. Non intendo con questo minimamente giustificare, sia chiaro, le gesta stupide ed insensate di chi periodicamente si diverte a rovinare manifestazioni pacifiche con l’inutile esibizione di una furia cieca e mai fruttuosa ma ritengo, più realisticamente, che questo tipo di espressioni non esaurisca il concetto il violenza. Non mi scandalizzano perciò le argomentazioni di Grillo che, di fronte ad un crescendo di minacce sempre più esplicite ai danni dell’agenzia di riscossione Equitalia, invita tutti a riflettere anche sui motivi che possono favorire il ritorno di un clima di forte tensione sociale. Marx spiegava come la violenza fosse la vera levatrice della storia. E per quanto l’umanità si sforzi endemicamente di ammantare di giustizia operazioni che sono di pura supremazia, è ingenuo non comprendere come spesso le ragioni del diritto seguano necessariamente di un passo quelle della forza. La grandezza di una società veramente giusta, incline a quel modello di giustizia che non si esaurisce nell’acritico rispetto di un impianto normativo spesso funzionale perlopiù agli interessi delle oligarchie dominanti, si vede in ciò che non è scritto né codificato. E’, in estrema sintesi, una società nella quale nessuno si suicida perché licenziato una volta sorpreso a sottrarre all’azienda un buono pasto da cinque euro (caso realmente accaduto), nessuno è costretto a lavorare per 5 centesimi al rigo (paga media dei giovani pubblicisti), nessun lavoratore viene messo nella condizione di dover accettare condizioni sempre più umilianti nel timore di perdere tutto. Perché anche un padre licenziato che non ha i soldi per fare un regalo al figlioletto a Natale è violenza. Una giovane badante in nero, costretta ad annullare la sua vita e i suoi giorni per sopravvivere, è violenza. Un giovane divenuto anziano in perenne cerca di lavoro è violenza. La violenza è tante cose, e spesso abbonda proprio là, dove nessuno la cerca.
Son cose che condivido, ma che non avrei saputo esprimere con i toni pacati ma fermi che hai usato tu. Complimenti. E dire che non sempre condivido i tuoi punti di vista…
Grazie Ugo. Il tuo parere per me è molto importante. Ti prego di indicarmi anche le cose che non condividi. Magari, leggendo i tuoi spunti critici, allargherò i miei orizzonti.
Francesco