L’Italia è in recessione, l’Istat ha registrato per il quarto trimestre del 2011 un calo del prodotto interno lordo dello 0,7%. E l’anno in corso non promette nulla di migliore nonostante le serenate continue al premier Monti. Venti di anni di retorica sulla crescita accompagnate da politiche concrete rigoriste e depressive ci hanno portato dritti nel baratro della recessione. Prima il problema principale era rappresentato dalla circostanza che l’Italia cresceva oggettivamente poco. Nell’ultimo decennio tipi alla Tabacci, negli studi ovattati di trasmissioni vuote come Ballarò, spiegavano di continuo come il problema dei bassi salari fosse correlato alla scarsa crescita economica del Belpaese. Per crescere, questo il mantra prevalente di questa sciagurata e consociativa classe dirigente che ci domina da oltre un ventennio, bisognava quindi rendere più precario il mercato del lavoro e mettere in sicurezza i conti. Queste scelte hanno trasformato una banale influenza in una violenta polmonite, tanto che oggi perfino la più grigia stagnazione finirebbe con il risultare una buona notizia. D’altronde puntare allo sviluppo tagliando salari, pensioni, welfare e grandi opere è come curare un alcolista prescrivendo due bottiglie di gin al giorno. Un controsenso e una aberrazione anche per gli amanti del principio omeopatico. Guai però a chiedere al divino Monti cosa intende fare per invertire un trend economico che aprirà a breve per l’Italia scenari greci. Si turba e risponde con poco garbo, nonostante il loden e l’aria sobria e professorale. Ci ha provato Ivo Caizzi giornalista del Corriere della Sera, come scrive Francesco Cramer in un articolo per il “Giornale” rilanciato dal sito Dagospia, e il nostro Premier ha risposto infastidito. “«Forse niente, dottor Caizzi,” reagisce stizzito il sobrio bocconcino bocconiano, “se alla testa di questo governo c’è una persona arrivata dov’è per una serie di raccomandazioni o per spinte ricevute nel corso della sua vita e non in seguito a un percorso democratico». La risposta dai modi “interurbani”, direbbe Totò, si spiega con un articolo pubblicato dallo stesso Caizzi in data 13 Febbraio sulle colonne del giornale di via Solferino, nel quale Caizzi si limitava a ricordare i trascorsi nei circuiti della grande finanza che caratterizzano il profilo di Monti. Sacrilegio. Monti è come Totti, si ama e non discute. Desidero esprimere a Ivo Caizzi la più ampia solidarietà del moralista, empatizzando con la condizione difficile di chi, come Caizzi, si ritrova come colleghi gente alla Massimo Franco e Federico Fubini che a furia di scrivere odi per il principe di turno espongono i giornalisti veri a volgari ritorsioni. Mi auguro che i vertici del sindacato dei giornalisti, ma ne dubito, alzino la voce per difendere la libertà di stampa e di espressione. Auguro infine a Caizzi di non fare la fine del suo collega del Corriere Carlo Vulpio, il quale, per avere seguito in passato con onestà intellettuale l’inchiesta catanzarese “Why Not” (vedi anche il libro “Roba Nostra” edito dal “Saggiatore”), è stato di fatto rimosso e silenziato. Un’inchiesta che doveva per forza essere dipinta a reti unificate come visionaria a dispetto di qualunque riscontro. Anche adesso che la Corte d’Appello di Catanzaro ha condannato ad un anno di reclusione pure l’ex governatore calabrese Agazio Loiero nessuno ha inteso chiedere scusa. Ma forse tutto questo Caizzi già lo sa, a differenza dell’Alice cantata da De Gregori. E infatti il suo pezzo sul Corriere di oggi è già dal titolo più aderente al contesto nel quale opera: “A Strasburgo applausi per Monti…”, è la sintesi del resoconto delle meraviglie montiane raccontate dal bacchettato Caizzi. Peccato Caizzi, comunque puoi sempre dire di averci provato.
Francesco Maria Toscano