Con oggi chiudo questa lunga parentesi dedicata al riuscito incontro riminese sulla Modern Money Theory organizzato dal giornalista Paolo Barnard. Questo non significa che non mi occuperò più della teoria in questione, che rappresenta oggi e per il futuro un’ imprescindibile arma intellettuale per mettere a nudo la mediocrità malefica degli attuali regnanti che tengono ancora in ostaggio le istituzioni democratiche del vecchio continente. Significa soltanto che il reportage sullo specifico evento romagnolo finisce qui. Ho cercato di sintetizzare, a beneficio dei lettori, i concetti che secondo la mia sensibilità erano davvero decisivi per cogliere, politicamente prima che tecnicamente, i passaggi principali attraverso i quali una èlite spregiudicata e senza morale intende cinesizzare l’Europa e restaurare una nuova forma di schiavitù che al posto delle catene utilizzi lo spread e il debito pubblico. Non so se ho colto il cuore del dibattito, so però con certezza di avere profuso il massimo impegno, nella speranza di avvicinare più cittadini possibili ad una nuova concezione di Stato che riscopra una vocazione di interesse pubblico. La prova provata dell’importanza dello sbarco in terra italica dei cinque economisti MMT, è testimoniata dall’assoluto silenzio mediatico che ha avvolto e quindi nascosto l’evento dentro una coltre di impaurita nebbia. Siccome i media italiani, quasi completamente nelle mani di editori parte attiva del disegno neoschiavista denunciato, approfondiscono solo questioni belluine, come le tette di Ruby Rubacuori o gli equilibrismi del genero di Caltagirone Pierferdinando Casini, questo imbarazzato e diffuso silenzio è perfettamente coerente con le nostre premesse. In questa settimana dedicata alla MMT, ho presentato ai lettori i diversi protagonisti del meeting. Ognuno dei relatori ospiti di Barnard ha lasciato un segno molto personale e arricchito l’incontro. Indispensabile la capacità di Stephanie Kelton di accompagnare con cura l’uditorio nei meandri di una materia ostica come la macroeconomia, utili e arguti i ragionamenti del prof. Hudson, interessanti e passionali le analisi del prof. Parguez, nonché la capacità sintetica e prospettica dell’economista canadese Marshall Auerback, capace di indirizzare verso scenari costruttivi una indignazione dilagante altrimenti destinata a disperdersi o, peggio, ad alimentare pericolosi nazionalismi di ritorno. Manca ancora all’appello l’economista William Black (nella foto) che, last but not least, ha posto l’accento sulle connessioni profonde tra crisi, deregolamentazione e truffe. Riporto adesso alcuni passaggi importanti del lungo intervento di Black, vero terrore per tutti i truffaldini d’America:” Gli economisti classici sono oggi i peggiori nemici dell’economia, dell’etica e della democrazia. Questi scienziati sbagliano tutto da tre decenni e hanno il coraggio di insistere. Prendete l’economista Gregory Mankiw, già consulente del Presidente Bush dal 2003 al 2005. Mankiw ha scritto un libro dal titolo Moral Markets. In questo libro arriva a sostenere che una regola contro una frode non è funzionale ai mercati. Ma purtroppo gli economisti che sbagliano tutto vengono sempre promossi, se coprono le frodi. Trichet (già a capo della Bce prima di Draghi) aveva detto che l’Irlanda nel 2004 era un esempio. Bell’esempio. Abbiamo visto come è andata a finire. Molte banche hanno fiancheggiato le operazioni criminali della Enron (multinazionale statunitense poi fallita) ma sono state comunque risparmiate. La Suprema corte americana ha difatti impedito ai cittadini di chiedere giustizia alle banche. Il caso Parmalat è poi un altro caso di grave frode. Alla base di tutto c’è la mancanza di etica e di morale. La deregolamentazione, voluta da quelli come Greenspan, è alla base della crisi dell’Europa e dell’America. Hanno creato una catastrofe e l’hanno chiamata progresso”. Alla tre giorni riminese è intervenuto anche l’ex direttore generale del Tesoro Nino Galloni che ha ricostruito il clima che si respirava in Italia sul finire della prima Repubblica. “Durante gli anni ‘80”, afferma Galloni, “era proibito parlare di politica monetaria. In quegli anni arrivavano nei ministeri funzionari mandati dal Fondo monetario internazionale pagati profumatamente. Per avere denunciato in anticipo questa cattiva costruzione europea me ne andai dalla pubblica amministrazione. Andreotti mi chiamò poi per collaborare con il suo governo. Pomicino, ministro del bilancio, mi nominò a capo del dipartimento economia. Tentai di sviluppare un programma per cambiare il processo dell’euro, ma successe il finimondo. Kohl chiamò Andreotti per lamentarsi di me. Sul finire degli anni ‘80 feci da collegamento tra la sinistra sociale democristiana e il Pci. Ciampi, innervositosi, chiamò Berlinguer e gli disse che se non si fosse fermato questo dialogo tutti gli assunti del Pci nelle banche sarebbero stati licenziati. Il dialogo divenne difficile. Il sequestro e l’uccisone di Moro va letto in questa ottica. Con Moro in vita questo tipo di Europa non sarebbe nata. L’Italia di Moro faceva paura a tutti”.
Francesco Maria Toscano