I crolli dovuti al terremoto non sono i crolli della borsa. Il crack che senti attraversare le pareti di casa non è come il crack finanziario. Il boato che esplode d’improvviso non ha nulla a che vedere con le bombe. Il grafico della scala tellurica non collima con i balzelli dello spread. Il male che un sisma porta dietro di sé scavalca il malessere sociale, va oltre. L’imprevedibilità di una faglia non è un disordine programmato. La terra trema, in Italia come nel resto del mondo, continua a farlo con intensità e a ritmo battente. La terra è viva e non aspetta altro che manifestarlo, con le impetuose doglie della Dea Madre e la furia sconsiderata degli Immortali. È il giovane Crono che ci coglie nel sonno quando tutto tace, lambisce il riposo e repentino ne castra la durata. Asteria latra alle premonizioni e Perse spacca i nostri sogni con la nera distruzione. Sumatra, Cile, Perù, Haiti, Cina, Turchia, L’Aquila, Giappone: il terremoto non ha identità etnica né cittadinanza. Il terremoto picchia in modo democratico, decima gli operai e gli uomini d’affari. Cancella gli asili e le scuole ma massacra anche i bombaroli. Polverizza le baraccopoli tropicali e sbriciola i grattaceli metropolitani, lima le colline e solleva le pianure. Il terremoto è una cosa seria, è tremendo. È terribile: ti prende, ti scuote, ti svuota, ti uccide. L’anima. Il terremoto non vuole pacche sulla spalla, non si fa bello per i costruttori, non è una vetrina per politici né fucina di buone parole e nobili promesse. Il terremoto ti penetra in testa, si mischia col sangue, lo passi ai tuoi figli geneticamente. Paura ancestrale, profonde ferite, ricordi sbiaditi, momenti rubati, atavici vuoti. Figli di terremotati che un giorno diverranno padri di terremotati. Il terremoto non lo cancelli ma impari a conviverne, puoi ripartire ma non ricominciare. Urlatelo nella valle del Belice, scoprite Gibellina o le case sfasciate d’Irpinia, provate a schermare le centrali in Giappone, a far rivivere il centro storico dell’Aquila. Quando il pavimento sotto i piedi balla e le preghiere non bastano, ecco arrivare la pioggia. Sempre. Rende la terra un acquitrino, affondi fino alle caviglie. Quando ti circonda il buio, la notte diventa troppo lunga ed il terrore prende il sopravvento. Le terre in moto sono culla di civiltà antiche e gloriose, di lì è passata la storia ma senza lasciare tracce. Hanno visto castelli ma non hanno più torri, hanno avuto templi e santuari e non mostrano colonne o campanili. Le terre in moto lo sono in perpetuo scrivendo e riscrivendo magnificenze e tristi eventi. Così come Finale Emilia ha fermato il suo orologio ed il mastio del castello è un cumulo di pietre. Crollano le fabbriche, anche quella di cuori artificiali per bambini. Il terremoto non ha pietà né compassione. Le scosse si ripetono: trenta, cinquanta, altri piccoli scossoni forse a centinaia. Si moltiplicano le “zone rosse”, aumentano gli sfollati. La conta delle vittime precorre la fine della città. È il centro storico che perde l’anima e muore. È in quel momento che l’uomo trova la forza per reagire e scopre la propria dignità. Quando tutto è perduto e rimane poco da difendere. Allora nulla è perduto. Ritrovarsi fuori dalle macerie, mettere in salvo quel poco è l’essenziale. Ricomporre i cocci di una vita, le maniche lacere e rimboccate per ricominciare. Per ritornare. Ora tutto ha senso. La sofferenza spalanca le porte alla solidarietà e accende lo spirito di fratellanza. L’unione non ha bisogno di appartenenze o convinzioni politiche. Ora non servono proclami, è il cuore ad appellarsi alla bontà, è l’uomo ad appropriarsi di virtù, è l’uomo che riabbraccia l’onestà. Scorrerà il decennale, il ventennale, ogni anniversario porterà con sé l’amarezza del precedente. Ti parlerà di vite spezzate, di amori perduti, tesori rubati, di figli smarriti, occasioni svanite, di santi e processioni, miracoli e preghiere. Racconterà di come la Fenice rinacque dalle ceneri, dell’uomo di fronte alla tragedia, di istinti primordiali e valori veri. Ecco, incuranti dell’inutile eccedenza, tirati d’essenziale chiudiamo ai rancori, agli scontri tra i partiti, alle differenze sociali. Scorrono silenziose le anime da dissetare, tra sapere e conoscenza. Chi ha un fardello da portare o un bagaglio da riempire. Sbiadiscono i dibattiti e sfuma la flessione. Ti resta un senso per la vita, ti forgia e ti fortifica. Ti ha stretto forte in gola esortandoti ad andare oltre, a superare tutto. Vago, sconfitto e impolverato vago. Infreddolito e rovinato vago per le vie del centro. Mucchi di cemento e fumo vestono il denudato borgo, urla e pianti infilzano i minuti che mi dividono dall’ infinito. Il tetto è arreso sull’ interrato, l’arredo effimero, lo squarcio è chiaro, riconoscibile. D’improvviso arrivano le voci, mi vengono a prendere, mi saltano addosso. Le voci sono donne, le voci sono uomini, bambini. Entro in quelle case. La tavola è imbandita, il focolare acceso, la legna non ha mai smesso di bruciare. La dispensa è piena di provviste. Tutto è come prima. I palazzi dei signori arricchiti ancora dagli affreschi. Ho visitato la sua scuola ed ho sentito nettamente lo schiamazzo dei bambini e i rimproveri amorevoli delle maestre. Ho salito i gradini della chiesa, quella con le colonne che segnano il tempio dai colori ancora accesi, dietro la grata ormai consunta dal tempo ho intravisto il prete dire messa. Ho raggiunto la piazza, era stracolma di gente col vestito buono. Gli uomini nei cappotti a fare comunella mentre i bambini stanno a rincorrersi, fin su dove c’è il campanile che sovrasta il paesino. La finestra di una casa è appena accostata, le persiane tradiscono il volto di una giovane ragazza. L’ampia scalinata che si apre sul piazzale perfettamente rettangolare, è affollata di gente appena uscita dalla chiesa Madre. C’è gente anche davanti al teatro, si guarda la locandina, c’è chi si mette d’accordo per tornare più tardi. È domenica. Una domenica di maggio e il sole ha già fatto capolino tra le nuvole. Il borgo a pochi chilometri è tutto un gran fermento, oggi si vota per il rinnovo del consiglio comunale. Per le strade la gente commenta liste e candidati. Nomi conosciuti in paese, già visti, I seggi sono aperti già dalla mattina. Poi, tra puzza e cemento è ancora l’inferno ma, sulla linea del tramonto, comincia nuovamente la vita e all’orizzonte ho dei figli da accudire, sul cuscino il sussurro di una favola ancora da narrare. Quando accade una crisi sismica tra la gente riemergono antiche superstizioni. Patrimonio di lontane credenze, nascono dalla necessità di trovare un colpevole e di personificare una forza senza volto e senza nome. Le storie del passato sono ricche di fantasia e di folklore e possono spiegare le superstizioni di oggi. D’altra parte, i miti popolari sono presenti in ogni cultura del nostro pianeta, anche se in forme diverse. Gli Achei avevano il terrore di Poseidone, dio bizzoso e vendicativo e cercavano di placare le sue ire offrendogli doni e sacrifici. Ma il signore del mare e dei terremoti non perdeva mai occasione per dimostrare il suo potere distruttivo. Gli antichi romani vedevano nei fenomeni tellurici il preludio ad altri avvenimenti terreni: erano una sorta di viatico tra il mondo degli dei e quello degli uomini. Area fortemente sismica, il Mediterraneo ha ispirato da sempre storie e leggende legate ai movimenti della terra. Una di queste nasce in Sicilia e vede protagonista un giovane di nome Colapesce. Il ragazzo amava il mare, talmente tanto da passare gran parte delle sue giornate immerso nei fondali della costa orientale sicula. Ammirava la vita, le forme e i colori di quel magico mondo. Un giorno arrivò a Messina un re superbo e crudele che volle sfidare la resistenza di Colapesce gettando in fondo al mare una coppa d’oro. Il giovane, tuffatosi, tra le ombre degli abissi vide la sua terra sorretta da tre colonne in corrispondenza dei tre vertici geografici dell’isola: una in buono stato, una lesionata e una, proprio sotto Messina, prossima alla rottura. Tornato in superficie con la coppa d’oro ma allo stremo delle forze, il ragazzo raccontò tutto al suo re. Il sovrano, insensibile alle preghiere della figlia, costrinse Colapesce a immergersi nuovamente, promettendogli in cambio la mano della principessa. Non riemerse più. Secondo la leggenda rimase sul fondo del mare a sostenere, con tutte le sue forze, la colonna corrosa e a impedire che la sua città venga distrutta. Pare, invece, che la basilica di San Francesco d’Assisi non si possa proprio salvare dall’anatema di uno dei suoi primi compagni. Si narra che, poco dopo l’inizio dei lavori per la costruzione, tale frate Leone, contrariato da tanta ostentazione pronunciò queste parole: “Francesco non l’avrebbe voluta e prima o poi crollerà”. Percorrendo le vie dell’Oriente arriviamo in India, dove i bramini raccontano che la causa dei terremoti è da attribuire alla stanchezza di uno dei sette serpenti incaricati dal dio Visnù di sostenere la Terra. Di matrice più erotica è la leggenda, sempre orientale, secondo cui il terremoto è generato dall’accoppiamento focoso di un gigante sotterraneo con la sua amata. Secondo alcuni popoli dell’Asia centrale, i sismi sono prodotti da un’enorme rana che vive nelle profondità del nostro pianeta e che ogni tanto si scuote. Nella mitologia dei tartari del Caucaso i terremoti sono generati invece da un toro gigantesco che porta la terra sulle corna: ogni volta che l’animale agita violentemente la testa, il mondo trema. Anche i giapponesi hanno personificato i terremoti: orribili esseri dal corpo di uomo e la testa di pesce gatto. Grande sfoggio di fantasia anche per gli indiani del Messico meridionale, secondo i quali un insolente giaguaro cerca sollievo ai suoi pruriti strofinandosi proprio contro i pilastri della Terra. E per concludere, una credenza popolare proveniente dal Cile meridionale. La colpa dei terremoti, secondo la mitologia india, è da attribuirsi a due serpenti dispettosi: Cai cai e Treg treg. La prima è la signora dei mari, dei laghi e dei fiumi; vive in una grotta sotterranea e quando esce causa maremoti e inondazioni. Treg-treg vive invece nelle viscere di una collina e da lì controlla l’attività di Cai-cai. Ogni tanto i due grossi serpenti litigano e le forti codate di Treg-treg provocano frane che seppelliscono Cai-cai. Così il povero serpente, per liberarsi dal peso dei macigni, si scuote e si agita violentemente, provocando i terremoti. Oggi, l’Emilia è ancora piegata dal terribile sisma che domenica ha scosso le province di Modena, Ferrara e Bologna. Operai morti. Case, scuole, chiese distrutte. Per il segretario della Lega di Rovato (Brescia) e consigliere comunale, Stefano Venturi l’evento è conseguente ai lavori per la secessione della Padania (“Terremoto nel Nord italia, ci scusiamo per i disagi, ma la Padania si sta staccando”). Il lucido folle ha pubblicato l’agghiacciante analisi sul proprio profilo Facebook scusandosi per i disagi e rassicurando i cittadini per il futuro (“la prossima volta faremo più piano”). La frase, subito cancellata dal social network, a qualche migliaio di utenti è piaciuta poco e, in effetti, ancora adesso la favola di Colapesce risulta più gradevole. A qualcuno, nel XXI secolo, sembrò di vedere arcobaleni dopo le scosse, luci telluriche legate ad un progetto da anni al centro di teorie del complotto. L’accusa è quella rivolta all’ HAARP (programma di ricerca finanziato da diverse organizzazioni militari statunitensi) di fare esperimenti in grado di influenzare le condizioni meteorologiche e ambientali, per provocare disastri naturali come tsunami, tornado e terremoti. In realtà il progetto si occupa principalmente di studiare le proprietà della ionosfera per poter così migliorare i sistemi di posizionamento e di comunicazione civili e militari. Il desiderio di dominare la forza della natura non può distoglierci dalla realtà e la realtà dice che l’uomo saprà risollevarsi ancora una volta. In Emilia come all’Aquila, saprà ritrovare se stesso nonostante le mancate promesse, gli aiuti negati, le insolenti sortite. Il settimo giorno, l’uomo avrà la meglio sui container e sulla farsa politica.

    Domenico Latino

    L’antimoralista

     

     

     

     

     

    Categorie: Cultura

    4 Commenti

    1. Federica scrive:

      Complimenti…i tuoi articoli si fanno leggere tutti d’un fiato. La tua è poesia, mentre leggo riesco a vedere ciò che hai scritto..Continua a scrivere, non mi perderete come lettrice. Grazie Domenico!!

    2. Antonio scrive:

      Bravissimo Domenico, come scrivi bene..complimenti.

    3. Matteo scrive:

      Caro Domenico,leggendo il tuo articolo sui fatti accaduti a Brindisi mi è venuto un nodo alla gola e le lacrime mi hanno riempito gli occhi. Ora questo articolo sul terremoto è anch’esso bellissimo. Scrivi davvero bene, complimenti. Hai pubblicato qualcosa? Scrivi per qualche giornale? Mi piacerebbe leggere un tuo scritto..per me che la lettura non è stato mai il passatempo preferito, potresti fare il miracolo!!!Bravo!!!

    4. alessandro scrive:

      bisogna ammettere che Domenico ha talento, ha una scrittura che tocca e fa suonare alcune corde emotive, le stesse corde che, per contro, si tendono dopo una lettura degli articoli veementi di rara efficacia critica di Francesco, con ciò comprendo il perchè si firma l’antimoralista. Insomma l’uno le tira l’altro le suona.

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      Francesco Maria Toscano, nato a Gioia Tauro il 28/05/1979 è giornalista pubblicista e avvocato. Ha scritto per Luigi Pellegrini Editore il saggio storico politico "Capolinea". Ha collaborato con la "Gazzetta del Sud" ed è opinionista politico per la trasmissione televisiva "Perfidia" in onda su Telespazio Calabria.

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      Sito di approfondimento politico, storico e culturale. Si occupa di temi di attualità con uno sguardo libero e disincantato sulle cose. Il Moralista è un personaggio complesso, indeciso tra l'accettazione di una indigeribile realtà e il desiderio di contribuire alla creazione di una società capace di riscoprire sentimenti nobili. Ogni giorno il Moralista commenterà le notizie che la cronaca propone col piglio di chi non deve servire nessuno se non la ricerca della verità. Una ricerca naturalmente relativa e quindi soggettiva, ma onesta e leale.

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