Non conosco le carte dell’indagine riguardante l’ex tesoriere della Margherita Lusi. So però come funzionano in genere i partiti politici e cosa si aspettano dai rispettivi segretari amministrativi. I partiti politici italiani sono volutamente opachi e godono di una autonomia pressoché assoluta nell’uso dei rimborsi elettorali. Il nostro codice infatti incasella i partiti, così come i sindacati, sotto la voce “associazioni non riconosciute”. I casi Lusi, Belsito, e Naro, solo per citare i più attuali e famosi, sono la regola, non l’eccezione. Gli odierni partiti, quasi tutti, sono guidati da una oligarchia che impedisce qualsiasi tentativo di democratica scalata ai vertici del partito stesso. Al fine di blindare la leadership di chi comanda, la scelta del segretario amministrativo è decisiva e strategica. I congressi dei partiti che ancora formalmente rispettano una parvenza di democrazia interna si vincono con le tessere, che si comprano a suon di quattrini. I vertici di qualunque partito, che controllano in genere la cassa attraverso la promozione di uomini di paglia spregiudicati e pronti a tutto, si garantiscono in questo modo l’assoluto comando del partito centrale e delle diverse articolazioni territoriali. Il tesoriere rappresenta per i partiti personalistici italiani, che inquinano la nostra democrazia, una specie di capo delle milizie armate, pronto a chiudere i rubinetti agli eventuali dissidenti interni e ad oliare gruppi di pressioni da riportare a più miti consigli. In sintesi: chi controlla la cassa controlla il partito. E’ di oggi la notizia della acquisizione di una serie di fatture che Lusi avrebbe pagato per rendere più agiata la vita dei capicorrente della defunta Margherita. Solo un gonzo, un ingenuo, un beccalone, un ipocrita o un fariseo in mala fede può stupirsi per una notizia del genere. L’uso privato per fini disparati e non congrui del denaro che affluisce nelle casse dei partiti equivale alla scoperta dell’acqua calda. Il finto stupore di Rutelli, il verginello che voleva vedere Craxi mangiare il rancio in galera, indigna più delle condotte pidocchiose di tanti onorevoli da quattro soldi che si facevano otturare i molari con i soldi del finanziamento pubblico. Le condotte di Belsito e quelle di Lusi fotografano una agghiacciante realtà da tutti nascostamente conosciuta, accettata e avallata. Quelli che ora inveiscono contro gli ex sodali politici in vena di confidenze, rischiano di sposare un profilo pubblico pericolosamente somigliante a quello dei boss della mala che rinnegano “gli infami” improvvisamente pentitisi. Le ingiurie e i toni esasperati che vengono usati contro Lusi sembrano quasi palesare l’astio furibondo di chi, aldilà delle singole condotte, non può perdonare il presunto tradimento di un tacito patto di omertà. Mentre il caso Belsito-Lega ha avuto grande risalto mediatico in ogni direzione, quello Lusi-Margherita viaggia mediaticamente lento e con mille cautele. Ancora più basso, quasi nullo, il profilo dello scandalo Naro-Udc, repentinamente scomparso da quasi tutti i mezzi di informazione nostrani. Il fatto che gli ex Margherita e gli udiccini, a differenza della Lega, siano accovacciati sotto il governo Monti spiega molto ma non tutto. Da ragazzo, questo è uno dei miei più gravi errori di gioventù che ancora non riesco a perdonarmi, ho frequentato la sede Udc di Via dei Due Macelli. Quando l’ex tesoriere del partito di Casini Pietro Cherchi fu sostituito con Pippo Naro chiesi una interpretazione politica dell’avvicendamento al mio ex segretario giovanile, il folliniano Domenico Barbuto. Ricordo il suo sguardo eloquente che diceva più del suo lessico doroteo. Dopo quel fugace colloquio non ho approfondito oltre l’argomento. Ho però iniziato a comprendere meglio l’importanza e il ruolo del tesoriere.
Francesco Maria Toscano