Ora la partita è tremendamente seria. In vista delle elezioni di Novembre, il presidente statunitense Barack Obama ha detto per la prima volta, finalmente chiaramente e ai quattro venti, che la governance europea costituisce un problema per il benessere e il progresso del mondo intero. Finito il tempo della diplomazia infruttuosa e sotterranea (quella che induceva i nostri giornali mesi fa a dipingere Obama soddisfatto dell’arrivo del prestigioso Monti sul trono d’Italia), Obama ha rotto gli indugi. Se fossi l’editorialista del Corriere della Sera Massimo Franco, primatista mondiale in banalità, chioserei con un consunto “meglio tardi che mai”. Ma vista la gravità del momento è meglio rimanere seri. Fatte le dovute proporzioni, la presa di posizione di Obama è sovrapponibile alla decisione di Roosevelt di intervenire in Europa all’indomani della provocazione giapponese di Pearl Harbor. Questa terza guerra mondiale, appena scoppiata, e dagli esiti imprevedibili, utilizza lo spread al posto delle bombe e la moneta in sostituzione dei fucili. E’ una guerra diversa ma non per questo meno sporca e sanguinaria. E’ solo più ipocrita e perbenista. Anziché dilaniare corpi di cittadini inermi con il fosforo bianco, i nipotini incravattati dei vecchi nazisti preferiscono indurli al suicidio dopo averli privati di tutto. “Questo sangue non è mio”, si ripetono probabilmente nella mente mentre analizzano la macabra contabilità dei crescenti suicidi. Se Obama perde le elezioni di Novembre contro il conservatore Romney, tronfio di denari elargiti generosamente dai negrieri che apprezzano “le impressionanti riforme strutturali sul modello europeo”, il movimento di liberazione sovranazionale, ora in fase di rapida organizzazione, rischia di subire un lungo stop. Il nuovo interventismo americano è vissuto con giusta preoccupazione dai principali cerberi a difesa della cittadella europea ridotta a moderno lager. Mario Draghi, nei panni di Erwin Rommel in versione tecnocratica, risponde a tono alle critiche di Obama ributtando la palla dall’altra parte dell’atlantico. “La crisi è colpa anche dell’eccesso di debito accumulato dagli Usa”,dichiara la volpe del deserto, subito seguito a ruota da un giornalista a sua insaputa come Massimo Giannini vicedirettore di Repubblica. I belligeranti mostrano i muscoli in attesa del vertice europeo di fine mese. Alcuni giornali tedeschi riportano l’indiscrezione secondo cui Draghi, Von Rompuy, Barroso e Junker starebbero pianificando delle linee di intervento “per salvare l’Europa” (clicca per leggere). I principali responsabili della crisi in atto, cioè, intendono sfruttare il clima di crescente paura e confusione per iniettare dosi ancora più massicce di veleno nelle vene di un’Europa già dolosamente stremata. I personaggi appena citati, senza alcuna legittimazione democratica, intendono imporre le solite manovre strutturali “salvifiche” volte ad infierire su pensionati e salariati, per favorire inoltre un’unione fiscale assoggettata ai paradigmi folli contenuti nel cosiddetto fiscal compact. Le manovre corrette per far ripartire l’Europa vanno invece nella direzione esattamente opposta. 1) La Bce deve diventare una banca di ultima istanza sul modello della Fed americana. 2) Vanno emessi eurobond con l’intento di finanziarie un nuovo e ambizioso piano infrastrutturale per l’Europa che crei lavoro e redistribuisca ricchezza. 3)E’ urgente intensificare l’unificazione politica dell’Europa per sostituire questi tecnocrati al servizio di interessi privati con politici eletti con metodo democratico. Queste le vere priorità non più rinviabili.
Francesco Maria Toscano
il fallimento della governance europea è sotto gli occhi di tutto il mondo: degli USA e anche della Cina aggiungerei. L’intervento di Draghi è veramente patetico, così come ogni altro rigurgito antiamericano, all’indomani delle sollecitazioni di Obama, utilizzato strumentalmente quasi richiamando un presunto indipendentismo/nazionalismo europeo, da parte degli anticapitalisti che vedono l’occasione ghiotta per riproporci vecchi dogmi da comunisti schic. Il Draghi ricorda che la crisi è anche dell’America, senza però specificare che dopo la crisi americana del 2008/2009 dei mutui sub-prime (che non è solo una crisi dei derivati tossici e dei fallimenti delle banche americane, ma anche dovuta alle violente delacalizzazioni nei paesi emergenti e alle crescenti deindustrializzazioni in USA), gli USA hanno avuto una ripresa, seppur modesta, con una lieve riduzione della disoccupazione. La già misera crescita USA ora rallenta perchè l’Europa continua con politiche fallimentari che riducono la domanda e non trascinano le economie americana e sopratutto cinese. Vogliamo ancora dire che la crisi è venuta dall’America?
Ci credo che la Spagna, a costo di arrancare con la lingua a terra, non richiede gli aiuti del fondo salva stati, li rifiutò anche Berlusconi dal FMI… così almeno non si troverà sottoposta ai dettami della porca Tro..ika