Leggete questo articolo di Marco Damilano per l’Espresso, rilanciato da Dagospia, e provate a trattenere il vomito (clicca per leggere). L’analisi pietosa del giornalista per mancanza di prove si articola intorno a due questioni: una ridicola e l’altra in malafede. Partiamo dal lato comico del pezzo. Damilano apre improvvisamente il sarcofago che da qualche anno conserva in buono stato uno degli uomini politici più sopravvalutati degli ultimi anni: Bruno Tabacci da Quistello. Damilano, bontà sua, rispolvera il vecchio “Grillo parlante” udiccino per difendere l’operato di Monti e suggerire alcuni nomi in vista della imminente successione al Quirinale. Tabacci, oramai alla frutta, si desta dal torpore esattamente ogni cinque anni, casualmente in concomitanza con le periodiche elezioni politiche. Noto per avere fondato il movimento politico più ridicolo dell’ultimo secolo (“La Rosa Bianca”), durato lo spazio di un mattino, Tabacci è ora alla disperata ricerca di una zattera che lo ri-traghetti in Parlamento anche nel 2013. Fallito il progetto rutelliano di Api, ridicolo quasi quanto la Rosa Bianca di pezzottiana memoria, allo statista mantovano non resta che agitarsi il più possibile nella speranza che qualcuno lo noti. Ha già annunciato di volersi candidare alle primarie del Pd con rara vena temeraria. Il Nostro infatti, più che una macchina da voti, è notoriamente un esperto nella raccolta del “dissenso”. Famosi i suoi fiaschi elettorali nel 2006 come candidato al consiglio comunale di Milano e nel 2008 come improbabile locomotiva della sfortunatissima candidatura a sindaco di Roma del più verace Mario Baccini. Più avvezzo a intessere relazioni con “il mondo che conta” piuttosto che con l’elettorato, Tabacci le preferenze, anziché contarle, preferisce pesarle in base al portafoglio di chi vota. Il diritto di voto universale penalizza oggettivamente cotanto statista, e un salutare ritorno al criterio del censo per rideterminare l’elettorato passivo potrebbe gloriosamente riportarlo in sella. Chissà che Monti, in un prossimo futuro, non decida di accontentarlo. Nel 2008, pur di guadagnarsi il seggio in Parlamento, Tabacci raggirò migliaia di persone (tra cui chi scrive) con la buffonata della “Rosa Bianca”. Oggi, godendo della stessa credibilità di Gambadilegno, è costretto a battere un’altra strada con il conforto dei pochi giornalisti che ancora gli danno credito. Persi per strada vecchi e pesanti sponsor come Giovanni Floris e Sergio Rizzo, l’assessore di Pisapia (più pia che pisa…) deve adesso accontentarsi di finire citato in un pezzo sconclusionato di Damilano o, al massimo, di rilasciare interviste profetiche alla sagace Susanna Turco dell’Unità, già penna di punta del richiestissimo quotidiano “Liberal” dell’ondivago pensatore casiniano Ferdinando Adornato. Ignorato con aplomb anglosassone lo scandalo Sea-Gamberale (clicca per leggere), Tabacci è chiamato oggi ad aggiornare il suo stantio programma elettorale, fatto di privatizzazioni selvagge, tagli alle pensioni e lodi alla flessibilità sul lavoro. Non sarà comunque facile conservare oltre “la cadrega” ma, conoscendo l’uomo, gli diamo ancora qualche chance di successo. A parte lo spasso nel registrare l’affanno di una riserva della Repubblica come Tabacci, estremamente desideroso di riprendersi il posticino, l’articolo di Damilano fa piangere. Anziché fotografare il totale fallimento del suo Monti-Napolitano, capace di gettare nella disperazione l’Italia intera, mentre l’Europa tutta affonda per mano dei degni sodali del nostro disastroso premier, Damilano denuncia nientemeno che “manovre finalizzate alla destabilizzazione del Paese”. Vergognati Damilano. Il Paese, grazie alla guida dei campioni che ti piacciono tanto, non è “destabilizzato”: è piegato, irriso, vilipeso, violentato, affamato, impoverito, deturpato, schiacciato e umiliato. Ma evidentemente, caro Damilano, poiché vivi in maniera agiata e privilegiata, grazie soprattutto alla tua indiscussa capacità nel suonare “serenate” a beneficio di chi esercita il potere, non te ne sei ancora accorto. Ma ti assicuro che presto il popolino, la cui intelligenza tanto evidentemente disprezzi, si leverà il prosciutto dagli occhi. E quel giorno, ne sono sicuro, per puro opportunismo, tutte le malefatte di questi anni saranno chiare perfino ad uno che scrive come te.
Francesco Maria Toscano