Tutti i farabutti che si rispettino tendono al bene solo nella misura in cui tale scelta coincida casualmente con il proprio interesse spiccio e contingente. In questi giorni il segretario al tesoro dell’amministrazione statunitense guidata dal pallido Obama, Timothy Geithner, è in giro per l’Europa nel tentativo di spronare le classi dirigenti del Vecchio continente “a fare tutto quanto è necessario per mettere in sicurezza l’area euro”. L’improvviso attivismo americano non è purtroppo conseguenza di una imprevedibile fiammata di Obama, finalmente risoluto nel contrastare il piano di cinesizzazione in danno dei popoli europei (specie di quelli mediterranei) malignamente perpetrato dalla massoneria reazionaria, capace di paralizzare nazioni intere presentandosi con il volto inespressivo e fintamente rassicurante del banchiere centrale Mario Draghi. Molto più modestamente, il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti d’America sa che la sua rielezione dipende anche dal rapido evolvere della crisi europea e perciò, con le elezioni alle porte, Obama si è svogliatamente destato da un lungo e colpevole torpore. Da ora fino alle presidenziali americane di novembre, quindi, con ogni probabilità la crisi dei debiti sovrani che inquieta l’Europa subirà un teatrale rallentamento finalizzato a tranquillizzare l’attuale inquilino della Casa Bianca; il quale, ad elezioni finite, tornerà probabilmente ad infischiarsene altamente delle disgrazie degli sventurati popoli europei, di nuovo ostaggio di quella infame tecnocrazia nuovamente libera da pressioni interessate provenienti dall’altra sponda dell’atlantico. In sintesi, pace apparente da qui a tre mesi, ri-esplosione tragica e veemente della crisi dell’area euro un minuto dopo la chiusura delle urne americane. Bravi, bravissimi. Ottimo il copione, bravi gli attori e suggestivi gli effetti speciali. Peccato soltanto che tutti conoscano in anticipo il finale di questa faticosa sceneggiata. In ogni caso questa è comunque una fase delicata e interessante, perché evidentemente non tutte le maschere in commedia assumono nei confronti del gigante americano lo stesso posizionamento tattico. Gli italiani Draghi e Monti, esperti come Arlecchino nell’arte di servire più padroni, potrebbero trovarsi spiazzati. E all’interno di questo scenario che si spiegano probabilmente le tempestive polemiche di alcuni importanti giornali europei all’indirizzo di Mario Draghi (per tutti Le Monde, clicca per leggere), accusato di essere portatore di un macroscopico conflitto di interessi a beneficio di aclune ben individuate lobby affaristiche in odore di massoneria. Gioele Magaldi, leader del movimento di opinione massonico Grande Oriente Democratico, spiega da tempo perché la lettura della modernità, slegata da solide conoscenze circa l’essenza e il funzionamento della massoneria, finisca necessariamente con il risultare velleitaria e inconcludente. Le Monde ha offerto un prima interessante chiave interpretativa utile per spezzare il coro di banalità e frasi fatte che caratterizza molti circuiti informativi, non solo italiani. Certo, in quanto ad ignoranza, insipienza, e dabbenaggine, i nostri giornalisti non temono francamente paragoni con nessuno.
Francesco Maria Toscano
31/07/2012