Leggo spesso e con piacere Dagospia, sito curato da Roberto D’Agostino che ha rivoluzionato il modo di fare informazione sul web. Irriverente, ironico, ben informato e continuamente aggiornato, Dagospia rappresenta certamente una valorosa avanguardia, capace spesso di sbeffeggiare il teatrino stantio e politicamente corretto dell’informazione mainstream. Poco incline alla diplomazia paludata, Dagospia ha capito in anticipo che, stante il livello infimo dei nostri media, era giunto il momento di aprire un finestra che provasse a fare luce sulle tante parole, opere e omissioni del nostro giornalismo ammaestrato. Se oggi la grande stampa decidesse di individuare i principali problemi che affliggono il Paese dovrebbe partire guardando verso lo specchio. La recente vicenda che ha visto protagonista il direttore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro, in grado di censurare un passaggio dell’intervista di Gioele Magaldi (clicca per leggere) per non urtare la suscettibilità di Mario Monti e Mario Draghi, è indicativa di un certo modo (prevalente) di intendere la libertà di informazione. Gli altri giornali, se possibile, sono pure peggio del Fatto diretto da quel fariseo di Antonio Padellaro. A tal proposito, sono interessanti alcuni passaggi che smascherano le commistioni indecenti tra potere e informazione contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che ha spedito l’ex Presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, in carcere. Infastidito dal fatto che Gianni Dragoni del Sole 24 Ore, anziché il lacchè, intendesse fare il giornalista per davvero, Orsi non trovava di meglio da fare che chiamare l’editore del giornale, l’inutilmente sorridente Squinzi, per esercitare indebite pressioni. Quest’ultimo, invece di chiedere all’invadente interlocutore di non avanzare richieste sconvenienti, prometteva di intervenire direttamente sul direttore del giornale, Roberto Napoletano, al fine di silenziare Gianni Dragoni. Quindi chiedo ora pubblicamente a Dragoni: “Ha per caso ricevuto pressioni in tal senso da parte del suo direttore?” E’ ora di affrontare di petto la questione della censura, divenuta triste regola nelle desolate redazioni italiani, magari pure immaginando una nuova norma che punisca in sede penale chi, usufruendo di posizione apicale, occulti, manipoli o depotenzi notizie di pubblico interesse scomode per il potere. Se Dragoni è un esempio di giornalismo corretto e coscienzioso, Osvaldo De Paolini del Messaggero è il suo esatto contrario. Pur di compiacere il potente interlocutore, De Paolini si accontentava infatti di recitare la classica parte dell’uomo di paglia che firma un pezzo che non ha contribuito a redigere (clicca per leggere). Storie di ordinario lecchinaggio che rimarrebbero avvolte da un provvidenziale e rassicurante cono d’ombra se non esistessero siti che, come Dagospia, ridicolizzano sapientemente prassi dal sapore fantozziano. Ogni mattina, gli ottimi Colin Ward e Critical Mess, fanno le pulci ai giornali, provando ad interpretare il perché di alcune scelte editoriali. Geniale, poi, l’intuizione di istituire la corrosiva “agenzia Mastikazzi” che mette in evidenza le notizie più inutili della giornata. Insomma Dagospia è utile e ci piace anche se, con garbo e gentilezza, devo personalmente avanzare un piccolo appunto. Scorrendo ieri le notizie sul sito curato da Roberto D’Agostino mi sono imbattuto in tre notizie che “Il Moralista” aveva appena dato. Il pezzo del Moralista del 12/02/2013 si intitolava “Orsi in gabbia” (clicca per leggere), titolo copiato pari pari da Dagospia nell’edizione del giorno dopo (clicca per leggere). All’interno dello stesso pezzo, riguardante l’arresto di Orsi, mettevo inoltre in evidenza la denuncia dell’Adusbef di Lannutti nei confronti di Bankitalia (ariclicca per arileggere), tema rilanciato il giorno dopo dai sempre attenti redattori di Dagospia (clicca per leggere). Sempre in data 13/02/2013, Dagospia pubblicava infine un pezzo di Rita Pennarola (clicca per leggere) volto ad approfondire il ruolo del think tank paramassonico Bruegel. Scriveva Pennarola: “Per Monti e i suoi, si tratta di un semplice acronimo (Brussels European and Global Economic Laboratory). Per i piu’ sospettosi, evocare il grande artista fiammingo del 500, noto per la rappresentazione dei ciechi, e’ l’implicito riferimento a quel panorama occulto della finanza mondiale che i cittadini non possono – e non devono mai – vedere”. Per la cronaca, il “sospettoso” che ha recentemente notato come Mario Monti avesse curiosamente scelto per il suo pensatoio un nome in grado di evocare questo grande artista fiammingo del passato, sono stato sempre io (clicca per leggere). Insomma, cari amici di Dagospia, la citazione delle fonti di tanto in tanto sarebbe cosa assai gradita. E se proprio volessimo applicare una regola restrittiva, potremmo mutuare le norme in voga nel calcetto, dove ogni tre angoli si fischia un rigore. Noi potremmo fare uguale: ogni tre imbeccate, una citazione. Mi pare equo.
Francesco Maria Toscano
14/02/2013
OT: Tempo fa posi un quesito sugli intendimenti del M5S in merito allo ius soli. Nel M5S prevalgono le posizioni a favore. Dunque non avranno il mio voto e buona notte. Peccato, pensavo e speravo fossero più coerenti.
[...] Leggo spesso e con piacere Dagospia, sito curato da Roberto D’Agostino che ha rivoluzionato il modo di fare informazione sul web. Irriverente, ironico, ben informato e continuamente aggiornato, Dagospia rappresenta certamente una valorosa avanguardia, capace spesso di sbeffeggiare il teatrino stantio e politicamente corretto dell’informazione mainstream. Poco incline alla diplomazia Source: il Moralista [...]