“Ogni libro è un capitale che silenziosamente ci dorme accanto, ma che produce interessi incalcolabili”. (Johann Wolfgang Goethe)

    Stiamo vivendo strani giorni. Giorni di piazze piene ed urne vuote. Giorni di neve contro una primavera che tarda a sbocciare. La natura, in questo, sembra aver interpretato alla perfezione le difficoltà della politica italiana. Forse anche per colpa delle condizioni climatiche non ci siamo ancora scrollati di dosso il “freddo” della campagna elettorale, sempre guelfi contro ghibellini. Siamo tutti politologi, tutti abbiamo la nostra personale idea di come uscire dalla crisi, tutti gridiamo e nessuno ascolta. Intanto la cultura è bandita da qualsiasi dibattito. “Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è un delitto?” scriveva Bertolt Brecht nella poesia “A coloro che verranno”. Ho trovato questi versi nel libro “Tempi bui” (Bompiani, 2012) di Petros Markaris. Lo scrittore nato a Istanbul e residente ad Atene, già collaboratore del grande regista Theo Angelopoulos, si domanda: “In un momento di grave crisi, i libri possono venirci in aiuto? La letteratura può aiutarci in periodi simili? Perché la catastrofe che oggi sta portando il Paese alla rovina non è esclusivamente di carattere finanziario, ma ha evidenti implicazioni sociali e politiche. Se guardiamo al passato della Grecia, allora possiamo rispondere a questa domanda in modo senz’altro positivo. Sì, la letteratura e i libri possono rappresentare un aiuto decisivo in tempi di crisi, ma soltanto a due condizioni. La prima è che i letterati comprendano la crisi stessa, la sua portata e le sue conseguenze. […] La seconda condizione è che i cittadini non diano ascolto soltanto a quanto dichiarano i politici e i giornalisti, ma sentano anche la necessità di cercare rifugio nella letteratura, se non altro perché questo comporta una specie di liberazione, non necessariamente dalle preoccupazioni della vita quotidiana, ma sicuramente dall’incessante pressione che grava su ognuno di noi in tempi di crisi. Brecht, che ha vissuto in tempi difficili, anche se non di grave crisi economica, lo ha descritto in poche, chiare parole nella poesia ‘Leggendo Orazio’: ‘Anche il diluvio / non durò in eterno. / Un giorno scorsero / via le acque nere. / Ma quanto pochi / Oltre durarono’.Perché il punto è proprio sopravvivere, resistere al diluvio o alla crisi. La letteratura e la poesia possono facilitarci la sopravvivenza o, per lo meno, rendercela più sopportabile”. Secondo Markaris è stato un grave errore considerare l’Unione europea solo dal punto di vista finanziario dimenticando quello culturale. Davvero originale, ma allo stesso tempo condivisibile, la tesi secondo cui chi ha investito nella cultura ha più chance per uscire dalla crisi. Spiega Markaris: “Vi farò un esempio. Un mese fa mi trovavo in Spagna. Anche la Spagna sta vivendo un momento molto difficile. Ma per la Spagna sono più ottimista e per un motivo molto semplice. Madrid ha circa ottanta biblioteche comunali. Barcellona ne ha trentacinque. Persino Siviglia, nella povera Andalusia, ha una biblioteca comunale che le ho invidiato non appena entrato. Se da un lato in Grecia una piccola città come Veria possiede una biblioteca modello che è stata addirittura premiata dall’UE, dall’altro le biblioteche comunali in tutta la Grecia non sono più di venticinque. I libri, tuttavia, non possono essere solo un bene privato, necessitano anche di spazi pubblici accessibili a tutti. Quando i soldi c’erano ancora e potevamo investire, abbiamo semplicemente trascurato questo aspetto. Adesso, in tempi di crisi, quando avremmo bisogno della poesia, ci mancano le biblioteche comunali. Abbiamo sprecato troppo denaro e realizzato poco”. A dispetto di chi, come Tremonti, afferma che con la cultura non si mangia il governo islandese, il primo a non piegarsi all’austerity, ha rilanciato l’economia investendo nel settore culturale: dalla musica al cinema. Naturalmente la cultura non è solo svago. In Italia abbiamo avuto illustri intellettuali che mettevano al primo posto lo studio. Ricordo per esempio Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista d’Italia, che su “L’Ordine Nuovo” del 1° maggio 1919 scriveva: “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.E poi don Luigi Sturzo. In una lettera dall’esilio londinese, datata 18 gennaio 1925, scriveva agli amici popolari in occasione del settimo anniversario della fondazione del Partito popolare italiano: “Oggi, dunque, è l’inverno politico del Ppi; ma «sotto la neve il pane» dice il proverbio. Nessuno sciupio di forze, nessuna mossa discutibile, nessun gesto inutile: il raccoglimento, lo studio, la preparazione. Essere, anzitutto, se stessi: cioè rigidi assertori di libertà, aperti negatori del regime fascista, vigili scolte di moralità pubblica, ranghi disciplinati di uomini di carattere e di fede”. Studiare per essere pronti per il domani. Studiare per capire la realtà e trovare soluzioni per il presente. Leggere libri per evadere dal mondo o finalmente comprenderlo. Leggere per non dimenticare o per fermare un attimo, come ha fatto nel seguente componimento Izet Sarajlic (1930 – 2002), poeta bosniaco, popolarissimo nella ex Jugoslavia. Sarajlic anche durante il cruento conflitto balcanico non si lasciò condizionare dai tragici eventi e continuò ad interrogarsi sugli alberi e sull’amore.

    (Fosse almeno l’anno 1993  – Izet Sarajlic, “Chi ha fatto il turno di notte”. Einaudi 2012. A cura di Silvio Ferrari)

    Fosse almeno quel terribile, / per l’umiliazione a nulla paragonabile / anno 1993 / quando non avevamo nient’altro / che l’un l’altro.

    Magari fosse ancora quel terribile, / quel tante volte maledetto anno 1993!

    Avrei ancora cinque anni pieni / da poterti guardare / e da tenerti per mano!

    (Luglio 1998)

    Tempi bui dunque, ma che un giorno potremmo anche rimpiangere.

    A cura di Emanuele Bellato

    26/03/2013

     

    Categorie: Cultura

    4 Commenti

    1. ampul scrive:

      Complimenti Emanuele, ti seguo sempre con grande interesse e, dal canto mio e come ho più volte detto, sottoscrivo la tua tesi… Nessun “risorgimento” ci sarà mai sul piano economico, se non prima ce ne sarà uno sul piano sociologico e culturale. L’uno è la conseguenza diretta dell’altro. Il moralista nel suo “Élite di merda” anticipa questo tuo articolo (o lo arricchisce…) contestualizzandolo al nostro italismo odierno…
      Le due cose, a mio modesto parere, sono direttamente proporzionali.

      Buona scrittura. E grazie anche a te per quello che scrivi.

      Ciao

    2. Emanuele B. scrive:

      Grazie mille ampul, complimenti o critiche sono sempre uno sprone per continuare a scrivere e migliorare. Ciao!

    3. Ugo scrive:

      La cultura. Ma quale, ora che ci hanno obbligati a credere che il pluralismo culturale a convivenza coatta sullo stesso territorio risicato sia un dovere etico imprescindibile? Cultura è anche condivisione di sogni e di ideali. Non c’è condivisione senza unisono.

    4. Emanuele B. scrive:

      Grazie per la tua opinione Ugo

    Commenta


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      Francesco Maria Toscano, nato a Gioia Tauro il 28/05/1979 è giornalista pubblicista e avvocato. Ha scritto per Luigi Pellegrini Editore il saggio storico politico "Capolinea". Ha collaborato con la "Gazzetta del Sud" ed è opinionista politico per la trasmissione televisiva "Perfidia" in onda su Telespazio Calabria.

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      Sito di approfondimento politico, storico e culturale. Si occupa di temi di attualità con uno sguardo libero e disincantato sulle cose. Il Moralista è un personaggio complesso, indeciso tra l'accettazione di una indigeribile realtà e il desiderio di contribuire alla creazione di una società capace di riscoprire sentimenti nobili. Ogni giorno il Moralista commenterà le notizie che la cronaca propone col piglio di chi non deve servire nessuno se non la ricerca della verità. Una ricerca naturalmente relativa e quindi soggettiva, ma onesta e leale.

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